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 Che cosa è l’alternanza scuola-lavoro?:  uno strumento di trasformazione della società che parte da lontano…


RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO:

In seguito ad alcuni interventi profondamente critici sulla partecipazione dell’università all’implementazione dell’alternanza scuola-lavoro si è sviluppato nel nostro ateneo un embrione di dibattito (che spero possa crescere) su questo tema, e numerose colleghe e colleghi hanno raccontato la propria esperienza proponendo un discorso difensivo (lavoriamo bene, lavoriamo tanto, gli studenti sono entusiasti).

Il punto su cui mi preme soffermarmi non vuole mettere in discussione la qualità del lavoro dei docenti, nè dubitare della quantità del loro impegno.

Mi stupisce molto che in tutti i racconti di collaborazioni scientifiche e didattiche con le scuole sotto il marchio dell’ASL (Alternanza Scuola-Lavoro) manchi qualsiasi tentativo anche solo accennato di contestualizzare che cosa sia la novità dell’alternanza scuola-lavoro nel sistema scolastico e nella nostra società.

Collaborate con le scuole, avete e abbiamo figlie e figli che le frequentano, lavoriamo all’università… possibile che ci interessi solo il segmento della nostra specifica attività come se non fossimo nel mezzo di una riforma epocale (così la chiamava Renzi) devastante (questo ha denunciato il mondo della scuola) dell’istruzione pubblica?

È di questo che sto proponendo di parlare, e di se e quanto ci riguardino nel nostro lavoro le politiche governative in materia di istruzione.

Che cos’è l’alternanza scuola-lavoro?
Collaborarvi significa contribuire a far progredire o a far regredire l’impianto della scuola pubblica?

L’alternanza scuola-lavoro si inserisce nel progetto di devastazione della scuola pubblica e della sua ricollocazione da organo costituzionale con il compito di rendere effettivo il diritto all’istruzione e il superamento delle differenze di classe a strumento al servizio del potere economico (dall’aspetto del reclutamento immediato di forza-lavoro a quello del consolidamento ideologico di un sistema di diritti basato sulla disuguaglianza, dall’attacco alla libertà di insegnamento fino all’asservimento della cultura e delle risorse agli obbiettivi delle imprese).

-) Disarticola e svilisce il lavoro delle/gli insegnanti e contribuisce all’operazione di denigrazione sociale della loro professionalità, già aggredita dai tagli, dalle campagne mass-mediatiche, dalla precarietà coniugata alla sottomissione al potere dei dirigenti scolastici – sotto il nome di “meritocrazia”.

-) Veicola nella società l’idea che la cultura, l’approfondimento, l’approccio critico alla conoscenza sono inadeguati al mondo di oggi che richiede – secondo loro – solo flessibilità e capacità di adattamento.

-) Perde di vista (ci fa perdere di vista) il ruolo che la Costituzione assegna alla scuola che viene ormai descritta – nelle note ministeriali, non nelle chiacchiere da bar – come equivalente negli esiti ad una esperienza di lavoro.

-) Frantuma e disgrega il percorso scolastico in una marea di rivoli individuali inseguendo l’ideologia della personalizzazione dell’ “offerta formativa”.

-) Soprattutto manda a lavorare centinaia di migliaia di giovani, di minorenni; li/le manda a lavorare gratis, li/le obbliga a lavorare gratis, insegna alla società che lavorare gratis è l’orizzonte a cui piegarsi.
Lo insegna attraverso l’immersione “formativa” nella realtà del jobs act, che forse nelle famiglie che la subiscono viene ancora percepita come il risultato di una politica di aggressione ai diritti piuttosto che come una struttura economica “naturale”: e allora si trasformi capillarmente la scuola in agenzia di propaganda del pensiero unico!

-) Fa perdere centinaia di ore di scuola e di studio alle ragazze e ai ragazzi nell’età della loro formazione, nell’età in cui quello che devono fare è studiare (200 è il numero di ore di storia nell’intero triennio del liceo scientifico, è il numero di ore di matematica nel triennio del liceo classico; 400 è il numero di ore di italiano nell’intero triennio di un istituto tecnico o professionale).

Abbiamo letto il racconto di una studentessa ripetente che si trova in difficoltà con l’assolvimento dell’obbligo di alternanza scuola-lavoro (a cui non era tenuta un anno fa).

Qualcuno ha commentato che a questa ragazza che deve studiare fisica e fare la maturità potrebbe forse essere più utile passare qualche ora in un dipartimento scientifico che non doversi trovare da sè un posto dove andare a fare non si sa bene cosa.

Io penso invece che le sarebbe molto più utile andare a scuola e studiare con sistematicità che fare non si sa bene che cosa all’università o altrove.

Mi sembra che in quasi nessuno dei vostri racconti si parli di istituti tecnici o professionali.

È evidente la natura classista di questa scesa in campo dell’università che implementa l’alternanza scuola-lavoro (con l’idea di migliorarla… ma per chi? per quanti?) e contribuisce a radicarla e normalizzarla nascondendola dietro l’angolo mentre noi guardiamo dritto (e anche un po’ troppo vicino al nostro naso).

C’è ovviamente chi sostiene convintamente questo processo; ma gli altri ci vogliono ragionare? ci vogliamo ragionare?

È evidente anche la valenza ideologica di questa operazione di salvataggio dell’immagine dell’alternanza scuola-lavoro (gli studenti ne sono entusiasti! ma sono entusiasti dell’alternanza scuola-lavoro o  dell’opportunità di scamparla?), richiesta all’università direttamente dal ministero proprio mentre venivano siglate le convenzioni con McDonald’s e altre porcherie che tanto ci scandalizzano e che nessuno si sognerebbe di far proprie o si espone a difendere.

E mi sembra anche funzionale all’ideologia dominante (classista) la costruzione, la legittimazione e lo sdoganamento nel cuore delle istituzioni educative (nel cuore della scuola) di un modello di relazione con il potere basato sul privilegio (di cui l’università è esperta) invece che sul diritto e sull’uguaglianza: la legge indecente rimanga pure là, tanto la desertificazione di diritti e cultura che produce nella società in qualche modo noi ce la scampiamo, noi che abbiamo gli strumenti per aggirare la legge e far passare per alternanza scuola-lavoro le nostre lezioni in cui l’unico contenuto di lavoro è quello che ci mettiamo noi (ho capito bene? più che un’alternanza scuola-lavoro per gli studenti descrivete un’alternanza università-scuola per voi); il prezzo è scaricare la legge indecente su quelle persone per le quali la scuola è davvero indispensabile e alle quali la stanno togliendo, su quelle persone per le quali l’alternanza scuola-lavoro è lavoro vero, su quelle persone che non incontreremo se non di striscio dentro le nostre aule e tra i figli nostri e dei nostri amici.

Ci salviamo (pensiamo di salvarci) fregando non il potere (che invece rafforziamo azzerando qualsiasi conflittualità) ma chi non può’ che subirlo.

Insegniamo ai nostri figli e alle nostre figlie, insegniamo ai nostri studenti e alle nostre studentesse, che con il potere ci si confronta eliminando il dissenso, cancellando dall’orizzonte la possibilità di un cambiamento, creando nicchie, alimentando l’individualismo, isolando abbandonando e indebolendo chi subisce il presente e chi lotta per la trasformazione della realtà.
Il tutto senza mettere in discussione niente, senza riuscire a capire… neanche il nostro lavoro e che cosa e perché ci lasciano fare o non fare.

Un insegnante di una scuola di Roma ha proposto di tenere lui un corso ai propri alunni e alle proprie alunne come alternanza scuola-lavoro: un corso sulla storia del diritto del lavoro; è stata una lunga battaglia e l’ha persa.

La sua abnegazione e il suo lavoro valgono meno dei vostri? Non è stato abbastanza azzeccagarbugli nel proporre il suo “imbroglio”? L’argomento era meno pertinente? O era troppo in tema?

Era decisamente troppo pericoloso.

Ilaria Damiani
Ricercatrice Università di Roma “Tor Vergata”

Per approfondire:  Alternanza_scuola_lavoro_- un_analisi_critica_a_cura_dell_USB_P.I._Scuola

      Un articolo di Christian Raimo, giornalista e scrittore

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