Care compagne e compagni,
l’intervento di oggi ha lo scopo di trasmettervi un'immagine di sintesi della situazione sanitaria in Italia. il nostro punto di vista è quello di operatori del settore che vivono quotidianamente lo scontro tra un sistema – impresa e le classi subalterne (operatori precarizzati nel rapporto di lavoro e cittadini precarizzati in termini di risposte ai bisogni).
La globalizzazione dei processi economici e politici, nel nostro come nel vostro paese, sembra ormai rappresentare l’unico vero modello di unione; al pari il modello Liberista che ci viene imposto complica le condizioni di vita, di lavoro, di sfruttamento e di oppressione e determina una unica ripartizione ineguale del benessere tra pochi e del malessere tra molti.
Questo processo, per molti inarrestabile, ci costringe ad un cammino comune, fatto di partecipazione e confronto, ma anche di lotte.
Non credo ci sia strumento più adatto a visualizzare le
aberrazioni del modello di società che ci viene
imposto dalla cosiddetta globalizzazione e dalle politiche liberiste se non
quello di analizzare cosa produce tale modello nelle politiche sanitarie mondiali
e nei singoli paesi.
In Italia, senza dubbio una delle più importanti
conquiste delle lotte di massa degli anni 60-70 è la conquista del Servizio
Sanitario Nazionale, che cancella lo status precedente della sanità in questo
paese fatto di mutue e di feudi ecclesiastici e non, concretizzatosi
con la legge 833 del 1978, i cui principi cardine sono la garanzia per tutti i
cittadini di avere diritto, in tema di salute, alla prevenzione, alla cura e
alla riabilitazione.
Una legge quindi che parte dai bisogni della
popolazione, rispetto ai quali lo stato si fa garante del suo soddisfacimento,
senza delegare nulla a soggetti terzi.
La vera rivoluzione in qualche modo sta nell’aver
messo in relazione tutti gli aspetti che riguardano la
sfera della salute, aver determinato che la cura non è slegata dalla
prevenzione ma anzi tra le due fasi esiste una forte correlazione; così come il
trattamento di un paziente in fase acuta non si limita alla soluzione di questa
fase ma prevede che sia lo stesso SSN ad assicurare la fase della
riabilitazione.
Il primo sconvolgimento alla riforma sanitaria viene attuato, attraverso la legge delega 421 del 1992
concretizzatasi nel D. Lgs. 502 del 1992, che in attuazione del trattato di
Maasricht per il quale è indispensabile ridurre il
debito pubblico per partecipare all’unione economico-monetaria Europea.
Il principio su cui si riforma (se preferite si distrugge) il precedente assetto del SSN è che il bisogno di salute del paese, viene subordinato a criteri economicistici che si concretizzano nell’individuazione di quote capitarie di finanziamento; queste, individuate dalla legge finanziaria, determinano il tetto economico entro il quale vanno garantiti i diritti sanitari.
Il “bisogno” viene
subordinato alla compatibilità economica e il Servizio Sanitario Nazionale,
istituito con la Legge 833 del 1978 comincia ad essere messo in discussione.
La strategia di trasformazione fa perno su 3 elementi
strutturali:
1.
la regionalizzazione della sanità ( che va di concerto
con la politica del federalismo)
2.
l’aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali (
modello di gestione pseudo-socetario che favorisce i processi di
privatizzazione)
3.
il finanziamento pubblico alle strutture private ed alle
assicurazioni.
REGIONALIZZAZIONE DELLA SANITA’
Il primo elemento teso a smantellare il SSN fa perno sulle politiche federaliste.
Le politiche fiscali e quelle sociali vengono allontanate dal governo e circoscritte in un ambito
locale, quello regionale, con l’obiettivo di creare 21 Servizi Sanitari
Regionali, diversi non per le diverse necessità di bisogno, bensì per diverse
possibilità di bilancio.
Il nuovo
assetto regionale si delinea da subito con una propria
autonomia, anche fiscale, un esempio della portata dell’operazione è
sicuramente rappresentato dal “titolo” che viene attribuito ai nuovi Presidenti
delle Regioni:Governatori, che nel nostro Paese ricorda ruoli istituzionali
tipici del ventennio fascista.
Lo Stato perde quindi la possibilità ed il diritto di
programmare e verificare il riequilibrio territoriale delle condizioni
sanitarie della popolazione nonché di verificare
livelli uniformi di assistenza su tutto il territorio nazionale.
L’obiettivo principale, la riduzione della spesa sanitaria, si attua :
·
con la notevole riduzione del fondo sanitario nazionale
che il Governo destinava quota parte alle regioni,
·
con il federalismo fiscale che pone le Regioni nella
condizione di imporre tasse e devolverle per i bisogni di salute.
Il
primo esperimento di autonomia regionale in tema
sanitario lo conduce la Lombardia, il Governatore, con uno specifico indirizzo
a sostegno della sanità privata e degli ospedali screditati, determina, nel
quinquennio ’95 – ’99, un incremento del 3,6% di ricoveri nelle strutture
pubbliche e del 58% in quelle private il tutto conseguenza di una politica di
finanziamenti pubblici ( a proposito del fatto che lo Stato non deve più essere
assistenzialista) pari al 12.7% per il servizio pubblico e al 45.6% per quello
privato.
La Lombardia ha naturalmente sforato il tetto
di spesa previsto.
L’AZIENDALIZZAZIONE DELLE USL
Nell’ottica dello smantellamento del SSN un ulteriore attacco,
dal basso, viene sferrato nei confronti delle strutture sanitarie di base, le
Unità Sanitarie Locali; queste, pur conservando lo status di “personalità
giuridica pubblica” , acquisiscono autonomia organizzativa, amministrativa,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.
Al vertice di queste nuove aziende “simil privato”, viene posto un Direttore Generale con esperienza manageriale
maturata in aziende e/o imprese private, non necessariamente in campo
sanitario, con ampi poteri e responsabile dell’andamento economico della nuova
“impresa”.
Il manager è
assunto dalla Regione (organismo politico) con contratto di natura privato e
sceglie tra i propri collaboratori ( con eguale contratto) un Direttore
Sanitario ed un Direttore Amministrativo.
Tutto questo, che ci orienterebbe esclusivamente verso
un nuovo strumento gestionale, nasconde altresì la possibilità
da parte delle USL di accesso a finanziamenti da privati.
IL FINANZIAMENTO PUBBLICO ALLE ASSICURAZIONI E ALLE
STRUTTURE PRIVATE
Nella Legge di riforma si introduce
il concetto di “forme differenziate di assistenza” riabilitando le mutue e le
assicurazioni private.
Il riferimento è al sistema inglese dove nel privato, grazie alle
assicurazioni, si verificano questi percorsi: i ricchi
vengono curati fino all’eccesso, dentro le cliniche private ovviamente ( da
loro si ottengono grandi margini di profitto per le assicurazioni) e
generalmente su patologie di minore importanza e gravità, quindi con assenza di
mortalità, per quanti non possono permettersi tale opzione, è garantita
l’emergenza del trattamento, eludendo la possibilità reale di fare prevenzione.
Le mutue e le assicurazioni intervengono, in questa
fase, con due obiettivi:
1.
nel concorso della spesa delle prestazioni a pagamento
2.
nella facoltà di negoziare, con gli erogatori delle
prestazioni del SSN, modalità e condizioni di tali prestazioni per garantire
“qualità e costi ottimali”
con questo scopo, le regioni possono dare vita “ a
società miste con capitale pubblico e privato”.
Di notevole importanza, in questa fase del processo di
privatizzazione, è l’inserimento della possibilità per il singolo medico, ma a
breve anche per gli altri professionisti della sanità ( infermieri, ostetriche,
ecc.) di effettuare prestazioni in intramoenia ( a
pagamento diretto, con una quota riservata all’azienda pubblica); quella che
viene definita una strategia operativa per la risoluzione dell’annoso problema
delle insostenibili liste di attesa per ricoveri e prestazioni ( per il 62,8%
degli intervistati dal CENSIS il problema più grave della sanità pubblica) è in
realtà uno strumento che permetterà a mutue e assicurazioni private,
convenzioni dirette con i “prestatori d’opera”.
La risultante
sarà l’aver ridisegnato un sistema sanitario differenziato
solo dalla capacità economica del soggetto che necessità della prestazione; più
reddito corrisponderà a migliore prestazione.
Nel corso degli anni successivi assistiamo ad un
tendenziale rallentamento dei processi di modifica anche a giustificazione
della necessità che il devastante processo venga
“assorbito” come elemento culturale.
Il periodo è caratterizzato da una fase di
sperimentazione dei modelli attuativi, anche diversificati
a seconda delle Regioni e quindi delle capacità economiche; particolare importanza
assumono la Legge 31 della Lombardia (governata dal centro-destra) e la legge 35
dell’Emilia Romagna (governata dal centro-sinistra) che se pur seguendo strade
diverse faranno da apripista alle politiche liberiste e federaliste più
avanzate.
Questa logica è più evidente in Lombardia dove le
scelte sono fatte di “tanto” privato (debitamente finanziato dal
pubblico), di “bonus” ( sorta di buoni salute spendibili ovunque) e di gratuite
condanne del sistema pubblico, sempre più depotenziato e reso al limite della
fruibilità.
Riteniamo però
che la strada seguita dall’Emilia sia la più pericolosa perché è quella che
tenta di mistificare il processo come se lo stesso fosse un fatto in eludibile
per mantenere in vita il servizio pubblico.
La pesante
realtà è sotto gli occhi di tutti ed il Governo di
centro-sinistra, ormai allo sbando, gioca la carta della riforma ( in sanità
come nella scuola) tentando di fornire adeguate (e credibili) risposte al
paese, evitando di fare troppo i conti (almeno nella sanità) con le politiche
neo-liberiste che a livello Europeo caratterizzano le compagini di
centro-sinistra e rischiando (anche se debolmente) di fare veramente gli
interessi dei meno facoltosi.
In un quadro di liberismo così sfrenato giunge quasi
inattesa la riforma ter, il decreto legislativo 229 del 1999, il quale, pur tra
mille contraddizioni, rappresenta un momento di ripensamento rispetto alle
politiche precedenti che trasformavano sempre più la salute in una merce e le
politiche sanitarie in uno strumento finanziario per il risanamento del debito
pubblico del paese, attraverso le politiche di apertura
alla sussidiarietà e dei tagli (tagli di spesa e imposizione dei ticket.
In particolare possiamo individuare in due punti la
svolta che rompe con le logiche precedenti e che caratterizzano in modo positivo questa riforma:
·
Il recupero dei
presupposti fondamentali della prima riforma sanitaria, la 833/78, attraverso
la riaffermazione dei primi due articoli della riforma stessa; recuperando
quindi essenzialmente il principio di universalismo
del diritto alla salute.
Nello specifico ciò si concretizza
ridando spazio nella fase decisionale agli ambiti territoriali più vicini alle
popolazioni, i comuni, si riposizionando in modo corretto i distretti
territoriali come servizi essenziali e strumenti principali dell’attività
sanitaria, riducendo di numero le Aziende Ospedaliere riportando queste
strutture alla gestione delle Aziende Sanitarie Locali.
Nel contempo introduce per la prima volta in Italia il
concetto di rapporto esclusivo di lavoro per i medici, anche se prevede anche
per gli stessi l’utilizzo delle strutture pubbliche per la cosiddetta libera
professione intramuraria (mitigata questa decisione da una regolamentazione
che dovrebbe comunque garantire lo sviluppo in primis della struttura
pubblica).
·
Secondo punto
strategico è il varo in contemporanea, con la riforma-ter, del Piano Sanitario
Nazionale che riafferma il ruolo del SSN come
strumento per soddisfare il bisogno di salute dei cittadini.
Purtroppo contestualmente viene anche approvata dal
parlamento la riforma fiscale in senso federalista, la quale prevede, nell’arco
di pochi anni, il superamento del Fondo Sanitario Nazionale che di fatto produrrà un finanziamento differenziato su base
regionale della spesa sanitaria
Questa nuova impostazione, pur se limitata e non del
tutto dirimente rispetto al modello di sanità che si vuol perseguire, determina
il quasi immediato isolamento del ministro Rosy Bindi
nel governo di centrosinistra e poco dopo la sua sostituzione con il Prof.
Umberto Veronesi che viene presentato come la panacea di tutti i mali della
sanità in quanto più che uomo politico lui è presentato come un super-tecnico.
In realtà come vedremo sin dai suoi primi atti Veronesi tutto è meno che un tecnico super-partes, infatti
egli è portatore di una cultura ben definita tipica in qualche modo del suo
status, essendo dirigente di primo piano del Istituto Oncologico Europeo di
Milano struttura privata finanziata a vario titolo con soldi pubblici.
Da qui riparte un nuovo attacco all’unicità del SSN che si impernia sul principio della sussidiarietà,
il privato fornirà i servizi che riterrà più remunerativi lasciando al pubblico
tutto ciò che a lui non conviene affrontare in termini economici.
LA FASE ATTUALE
Con il varo del Governo di centro – destra si assiste
ad una accelerazione dei processi di smantellamento
del Servizio Sanitario Nazionale.
Il “Decreto taglia spesa” e la normativa sui “Livelli di Assistenza” (LEA), incentrano questa prima fase
dell’iniziativa del nuovo Governo su una politica di tagli:
·
Tagli di posti letto . ( riduzione della percentuale di
posti letto per acuti) già scopo primario del precedente Governo (chiusura
degli ospedali con meno di 120 p. l.) si attua con la chiusura di circa il
20% degli attuali posti letto. Va ricordato che dal ’95 al 2000 i Italia sono stati chiusi il 50% dei letti negli ospedali
pubblici. Tale sconvolgente risoluzione del problema della spesa sanitaria non
prevede ( se non come enunciazione di massima) un successivo investimento in
strutture territoriali ( filtro preventivo al ricovero e/o struttura di assistenza per la dimissione protetta dall’ospedale)
·
Riduzione dei LEA. Viene
riformulata la lista delle prestazioni ammesse a convenzione e tra queste non
rientrano più alcune prestazioni riabilitative.
Contemporaneamente si assiste ad un incremento della
spesa in alcune regioni successivo anche ad una accelerazione
della politica degli appalti; tutto quanto non direttamente riconducibile ai
processi assistenziali e terapeutici va esternalizzato con procedura a ribasso
della spesa, procedura che si esplicita in un ulteriore sfruttamento e
precarizzazione del rapporto di lavoro per quegli operatori che fanno
riferimento a queste ditte.
Neanche i “lavoratori pubblici” sono esenti dalle
conseguenze di tali provvedimenti: circa 70.000 operatori si vedranno costretti
a percorsi di mobilità verso strutture territoriali (la maggior parte in
convenzione) e per alcuni di loro si paventa l’esclusione, modulata, dal mondo
“produttivo”.
Inoltre ,sempre nell’ottica
del contenimento della spesa, non sono più garantite le assunzioni pubbliche di
personale mentre resta ancora valido il ricorso al lavoro interinale, ai contratti
di formazione – lavoro, al volontariato strutturato.
Un ulteriore processo di
accelerazione viene imposto dall’attuale Governo con la vicenda degli Istituti
di Ricerca a Carattere Scientifico (IRCS).
Il progressivo disimpegno degli ultimi Governi in termini di finanziamento
pubblico alla ricerca e la successiva necessità di risoluzione di tale dilemma
culturale, si risolve con la partecipazione del “privato di settore” (
prevalentemente multinazionali del farmaco ) al finanziamento della sperimentazione
e della ricerca.
L’aver strutturato il concetto di profitto ad ogni costo sta
determinando una ricerca funzionale al guadagno; non diventa più attuabile un
progetto di ricerca su una patologia che interessa pochi milioni di bambini nel
mondo né la successiva produzione di un farmaco che non risponda ad una
“domanda” numericamente adeguata ai fondi investiti per la ricerca.
Tutto questo, in campo sanitario, si coniuga con la
necessità di indirizzare la ricerca verso patologie che interessano “particolari”
strati di popolazione sanitaria.
Quanto conviene
continuare a sperimentare farmaci anti AIDS se non sarà più lo Stato a
garantire la cura dei sieropositivi, ma il singolo malato? e
quanto una assicurazione privata sarà in grado di garantire una polizza ad un
malato HIV ed a che prezzo?
Per attuare questo non è ancora ipotizzabile muoversi
in un contesto legislativo che evidenzi la gestione
diretta di lobby imprenditoriali, si ricorre allora allo strumento della
Fondazione : struttura con finalità pubbliche sorretta economicamente da
investimenti privati, funzionale al profitto.
Sull’onda di un percorso di delegittimazione della L.
229/99, l’attuale compagine governativa “naviga a vista” sperimentando in
alcune Regioni modelli di “cartolarizzazione” delle strutture sanitarie; nel
Lazio gran parte degli immobili che ospitano importanti e storici Ospedali, vengono ceduti ad una Società per Azioni della quale la
Regione detiene il pacchetto di maggioranza e che comprende anche gruppi
bancari e privati (importanti imprenditori della sanità privata).
La nuova
impresa determina liquidità economica comunque
insufficiente a ripianare il deficit delle strutture sanitarie ma lascia ampi
margini di manovra in termini di investimento e conseguentemente di profitto,
anche se i risultati di questo saranno apprezzabili solo tra qualche anno.
CONCLUSIONI
In modo sintetico e per grandi linee questo è il
processo di privatizzazione della sanità ed il
conseguente attacco al bene salute, attuato sia dai governi di centrosinistra
sia, in modo più accentuato, da quelli di centrodestra negli ultimi dieci anni
in Italia.
Questo processo si inserisce
in un quadro mondiale che rende sempre più evidente il fallimento delle
politiche di privatizzazione dei sistemi sanitari.
L’apice di questo fallimento è rappresentato in
particolare dai paesi Anglosassoni, della Gran Bretagna abbiamo gia accennato in precedenza ed è una situazione ormai vicina
al collasso ( tanto che la riforma del sistema sanitario è uno dei cavalli di
battaglia sia per la destra che per la sinistra per la campagna elettorale);
negli USA, l’esasperazione del modello privatistico gestito quasi
esclusivamente dalle assicurazioni private, quasi 50 milioni di cittadini sono
senza qualsiasi copertura sanitaria sia di parte pubblica che di parte privata.
Tornando in Italia il processo di privatizzazione
sin qui perseguito ha prodotto:
·
Un progressivo
deperimento della quantità e della qualità delle prestazioni del servizio
pubblico, senza neanche che le stesse fossero compensate da uno sviluppo del
privato, questo può essere rilevato anche solo osservando il progressivo
allungamento delle liste d’attesa per qualsiasi servizio; contemporaneamente
assistiamo ad un aumento costante dei ricoveri in regime di emergenza
nelle strutture ospedaliere causato dalla diminuzione,altrettanto costante
dell’opera di prevenzione precedentemente fornita dai distretti territoriali; i
quali oltre ad una riduzione delle strutture hanno dovuto ridurre anche il
numero delle prestazioni sia in qualità che in quantità a causa dello
strangolamento economico al quale sono sottoposti.
·
Nel mondo del
lavoro della sanità (come nel resto del mondo del lavoro) assistiamo ad una
crescente precarizzazione e flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, infatti le aziende ricorrono sempre più frequentemente a
forme di assunzione del personale sempre più precarizzate (interinale, co. co. co., cooperative, etc.).
Tutto questo ovviamente rafforzato dal massiccio ricorso
alla esternalizzazione di interi servizi o funzioni
soprattutto dei servizi alberghieri.
Il fallimento di queste politiche è sotto gli occhi di
tutti, oltre che per le prestazioni, anche dal punto di vista economico infatti nonostante i continui tagli e le pressanti
privatizzazioni il livello di deficit delle Aziende Sanitarie continua a
divenire sempre più rosso.
In questa situazione si deve inserire un ruolo diverso
del sindacato soprattutto del sindacato di classe, in quanto
proprio uno scontro di classe si profila dietro questa politica di
privatizzazione (la sanità sarà garantita solo a chi potrà economicamente
permettersela, il solito ricchi contro poveri), che non potrà più limitarsi ad
intervenire sulla politica contrattuale in senso stretto (o contrattuali vista
la presenza di flessibilità dei lavoratori operanti in questo comparto), ma
dovrà allargarsi al funzionamento del servizio stesso, partendo dal principio
che la salute dei cittadini è un diritto inalienabile che come tale non può essere
paragonato ad una merce, dove i privati e le imprese possono lucrare.
Bisogna quindi ripartire dall’articolo
32 della Costituzione Italiana che descrive la salute come un bene
costituzionalmente garantito e quindi far rivivere i principi della prima
riforma sanitaria, la 833/78 dove lo stato garantiva la prevenzione, la cura e
la riabilitazione per tutti.
Essendo la salute un diritto universale, riteniamo che
il principio appena affermato debba essere fatto
proprio da movimento, e che quindi diventi uno dei terreni su cui costruire lo
sviluppo delle lotte contro il liberismo imponendo la globalizzazione dei
diritti.
Una occasione da non perdere, alla luce di questa
affermazione, è rappresentata dalla discussione in atto per l’elaborazione
della nuova Carta Costituzionale Europea.
Il criterio di universalità
di questo diritto deve essere recepito dalla nuova carta, riteniamo
indispensabile perciò che su questo terreno si avvii un percorso di confronto
per costruire iniziative e momenti di lotta unitari tra le Organizzazioni
Sindacali ed il Movimento Europei.