Dal superamento del Contratto Nazionale per un “vero“ Contratto Decentrato

Con la firma dell'accordo per il contratto nazionale 1998/2001 (1° biennio economico 1998/99) esplode clamorosamente la crisi del sindacalismo confederale: vengono ulteriormente e drasticamente ridotti i margini dell’attività contrattuale e della stessa concertazione.

Prima di tutto come crisi di consenso tra i lavoratori che hanno espresso il loro malcontento in occasione delle consultazioni-farsa, indette unitariamente dai confederali, ma soprattutto disertandole in massa (il 90% dei lavoratori non vi ha partecipato) compresi gli stessi iscritti ai sindacati firmatari (vedi il fallimento del referendum tra gli iscritti CGIL che non ha raggiunto il quorum del 50%+1 dei voti). .


Questo dimostra che non vi è stato mandato dei lavoratori a sottoscrivere questo contratto. La sua sottoscrizione da parte dei vertici confederale è un atto illegittimo e contro i lavoratori.

Il malcontento generalizzato dei lavoratori legittima, invece, il no alla firma espresso da un vasto schieramento di forze e componenti sindacali che va dalla RdB, al Comitato Nazionale contro il contratto, alla componente di "Alternativa Sindacale" della CGIL per finire alle RSU di alcuni Atenei.

La RdB, fin dall'inizio, aveva individuato con chiarezza nella scelta dei sindacati trattanti di non presentare una propria piattaforma rivendicativa in contrapposizione a quella dell'Aran e dei Rettori non tanto un problema di violazione di regole formali della democrazia sindacale (che pure c'era tutto) quanto una volontà dei confederale di tenere un basso profilo contrattuale con scelte deboli, ambigue e opportunistiche per legittimare, poi, il loro cedimento alla scelta governativa sul contenimento del salario e alle iniziative baronali per svuotare le garanzie (le rigidità) del contratto nazionale a favore del trasferimento agli statuti e ai regolamenti d'ateneo delle sue competenze e prerogative, saltando e vanificando la contrattazione integrativa d'ateneo.

 

Di questo il sindacato confederale era ben consapevole tanto che era arrivato a indire proprio sulle "relazioni sindacali" lo sciopero poi non sostenuto del 15 ottobre 1999.

  Da quel giudizio la RdB (vedi documento 15 ottobre 1999) ha preso le mosse per costruire le iniziative sul riallineamento stipendiale della categoria agli altri contratti pubblici, inondando con migliaia di cartoline e firme l'Aran e il tavolo di trattativa nazionale, per denunciare la scelta confederale di assumere come base di trattativa sul nuovo ordinamento professionale la proposta dei rettori e quella di non mobilitare la categoria per rivendicare fondi nazionali per la sua applicazione, ha denunciato i cedimenti confederali all'ulteriore precarizzazione del lavoro e la scelta confederale di continuare a trattare direttamente con i rettori su questioni di competenza esclusiva della contrattazione nazionale. Da quel giudizio il NO secco all'Intesa preliminare del febbraio scorso e il rigetto dell'accordo.

Ma la crisi del sindacalismo confederale è soprattutto una crisi di prospettiva in quanto la concertazione con le baronie è fallita su tutta la linea: con il fallimento del tentativo di accreditare risultati per tenere buoni i lavoratori, i sindacati confederali dovranno fare ora i conti con il fallimento del tentativo di entrare, tramite il contratto nazionale, nella stanza dei bottoni delle autonomie universitarie.

 

 

Infatti, se continuano a mentire quando parlano di "aumento" dell'Indennità d'ateneo (e invece si tratta di spostamento di cifre dal salario accessorio) oppure di aumento del 2% di

risorse fresche per il salario accessorio (e invece si tratta di un ulteriore riduzione del salario accessorio "storico" per finanziare alcune progressioni economiche solo per alcune figure), su tutto il resto (ordinamento professionale e "relazioni sindacali") preferiscono parlare di "un passo avanti da completare con una forte mobilitazione d'ateneo" scaricando così la responsabilità dei mancati risultati di questo contratto sulle spalle delle rappresentanze sindacali d'ateneo.

 

Infatti, l'ordinamento professionale portato a casa dei confederali riduce il costo del lavoro, introduce il salario d'ingresso, penalizza l'85% del personale inchiodandoli nelle due qualifiche più basse, ratifica l'impiego indiscriminato (loro dicono "flessibile") del personale, non prevede finanziamenti sufficienti per corrispondere alle aspettative dei lavoratori e ignora il problema della definizione dei profili professionali.

 

Toccherà alle RSU mettere mano a questi vuoti del contratto nazionale e contrastare il processo di riorganizzazione gerarchica che i baroni e la dirigenza d'ateneo hanno avviato in questi anni: è legittimo chiedersi con quale "diritto" e con quali forze se in questi anni i sindacati nazionali di categoria firmano questi contratti liquidatori e impediscono in tutti i modi alle RSU di accreditarsi presso i lavoratori come un vero strumento di difesa dei loro diritti.

 

A questo si aggiunge il problema di una massiccia precarizzazione del lavoro, legittimata da questo contratto, che sancisce l'impossibilità del sindacalismo d'ateneo di entrare nel merito nelle scelte di organizzazione e di riconversione del lavoro e sviluppo dell'attività e delle sedi del sistema universitario italiano.

Infine sulla contrattazione d'ateneo: il taglio del salario accessorio "storico" per finanziare l'inquadramento nel nuovo ordinamento professionale, l'indirizzo predeterminato delle risorse all'incentivazione personalizzata di alcune figure scelte a insindacabile giudizio degli organi della autonomia (il sindacato ne sarà informato), e l'esclusione di qualsiasi intervento contrattuale di carattere nazionale o di qualsiasi possibilità di intervento a livello d'ateneo sulla destinazione di incentivi derivanti dalle "attività economiche" dell'ateneo (contratti di ricerca in conto terzi, master, ecc. ecc.), nonché la mancanza di strumenti di controllo e verifica da parte sindacale dell’efficacia di direzione dell’Università (presenti negli altri contratti di P.I)  fanno obiettivamente saltare il secondo livello contrattuale (quello aziendale) che nelle dichiarazioni confederali doveva essere finalizzato al trasferimento della produttività sul salario accessorio.

 

La debolezza del "contratto quadro" nazionale non garantisce la contrattazione d'ateneo e sancisce invece la nascita di vere e proprie "gabbie salariali e normative" cioè di "contratti" d'ateneo decisi dalla baronia e la dirigenza d'ateneo che sostituiscono quello nazionale e che preludono al definitivo smembramento della categoria.

Questo succede già nelle (poche) Università private esistenti (Cattolica, Bocconi, ecc.) dove ognuna di loro ha un contratto di lavoro d'ateneo per il personale ma dove almeno in teoria è garantito - dallo Statuto dei Lavoratori - una contrattazione sindacale vera e propria e stipendi finora superiori di 500.000 £ il mese mediamente più alti. Ultimamente i sindacati confederali stanno provvedendo alla cancellazione degli scatti d'anzianità per venire incontro alle esigenze degli "imprenditori della conoscenza" di competere con le Università pubbliche!

 

Cedere sulla difesa dei due livelli di contrattazione, nazionale e aziendale ratificando con questo lo svuotamento del contratto nazionale e l'introduzione per la prima volta in comparto pubblico delle gabbie salariali e normative, è il frutto marcio del pieno e totale appoggio confederale a una politica di "privatizzazione" e di aziendalizzazione dell'Università che smantella Università pubblica, smembra la categoria dei lavoratori condannandola alla frammentazione.



Il fallimento della concertazione spiega i conflitti tra sindacati confederali che hanno attraversato tutta la contrattazione, la crisi di prospettiva spiega la scelta improvvisa di "alternativa sindacale" della CGIL di bocciare l'accordo dopo aver tenuto un atteggiamento ben più defilato al momento dell'approvazione dell'Intesa preliminare del febbraio scorso e spiega le scelta dei motivi presi a prestito; critiche che finora solo il sindacato di base, tra cui la RdB aveva organicamente  sollevato e sostenuto (riallineamento stipendiale, reinquadramento per tutti, rifiuto del lavoro in affitto e dell'ampliamento del ricorso ai contratti a tempo determinato, rifiuto al ridimensionamento delle  RSU e  dei sindacati d'ateneo).

 

A pagare il fallimento della concertazione sono i lavoratori che da questo contratto non vedono risolto alcun problema:

 

1.      La questione salariale è tutta lì da affrontare: dal problema dell'adeguamento degli stipendi agli altri contratti pubblici a quello di miglioramenti economici in grado di fronteggiare l'aumento dell'inflazione.

2.      Non viene risolta, anzi il contratto cancella  la questione del riconoscimento del lavoro svolto e delle professionalità acquisite in dieci anni di trasformazioni normative dell'Università e trasformazioni tecnologiche e riorganizzazione del lavoro nelle Università.

      Infatti, si parla di "reinquadramenti" per alcune figure soltanto (V assunti con concorsi pubblici con maturità, VII assunti con laurea) lasciando  alla "contrattazione d'ateneo" la possibilità di reperire risorse per estenderla ad altri lavoratori mettendo già in conto - evidentemente - che alcune Università più "ricche o combattive" riusciranno a rispondere a questa esigenza e che altre non ce la faranno mai.

3.      Inoltre si aggrava il problema del lavoro precario cui questo contratto risponde andando esattamente nella direzione opposta alla loro limitazione e trasformazione in lavoro stabile e precludendo alla possibilità del sindacato di affrontare i problemi dello sviluppo e riconversione di attività e sedi universitarie n direzione di una rivendicazione dell’adeguamento degli organici e quindi per l'occupazione.

4.      E infine resta il problema dell’"arretramento delle relazioni sindacali" (come si dice in linguaggio confederale), cioè del fallimento della speranza di avere da questo contratto gli strumenti per trasformare la contrattazione d'ateneo in una vera contrattazione integrativa, cioè in una contrattazione che potesse migliorare e integrare quella nazionale. Le RSU (dove l’hanno fatte funzionare) e i lavoratori -  divisi e frastornati da anni di abbandono sindacale e da una sconfitta che altri hanno deciso per loro - si troveranno di fronte controparti legittimate dal sindacato nazionale ad avvalersi degli strumenti che il contratto dà loro per continuare, in nome degli statuti e con gli strumenti dei regolamenti, quell'attacco iniziato alcuni anni ai diritti dei lavoratori universitari.

 

E' per questi motivi che la prima risposta di un sindacato di base non può che essere di carattere nazionale che amplifichi e rafforzi la protesta di quanti si oppongono a questo contratto.

 

Per questo è necessario che i lavoratori si mobilitino per protestare contro questo contratto, affinché la loro partecipazione dia sostegno a chi si adopererà per costruire, a livello di singolo ateneo, un percorso di contrattazione aziendale che superi i limiti individuati nel contratto nazionale per  puntare su   obiettivi  fondamentali ed imprenscindibili: ricordiamo che qualsiasi voce discorde rimarrà soltanto tale, se non ci sono i lavoratori che con la loro mobilitazione dà alle rappresentanze sindacali la giusta legittimazione a  chiedere e pretendere.

 

 

 

Questo contratto non sarà a costo zero solo  per pochi, ma per tutti i lavoratori:

 

Alla luce di queste considerazioni la RdB sostiene che le norme di “primo inquadramento” dovranno prevedere:

 

§         un salario integrativo d'ateneo per tutti i dipendenti che preveda l’adeguamento stipendiale della categoria agli altri contratti pubblici attraverso un  diverso ordinamento professionale:

      pari opportunità per tutti i lavoratori rivalutando il  titolo di studio e   riconoscendo anche  

     l’esperienza  lavorativa  senza predeterminare particolari corsie preferenziali:

-         reinquadramento alla categoria  superiore  per tutti i V e VII che  nel contratto universitario, a differenza di tutti i  contratti degli altri comparti,  sono stati declassati;

-         aumento di un livello retributivo per tutto il restante personale;

-         inserimento nella Cat. EP di tutti i lavoratori che ricoprono incarichi di responsabilità, di 

   organizzazione di strutture complesse, professionalità tecnica, di ricerca,  di didattica e 

   medico/assistenziale;  

§         acquisizione definitiva per le stesse finalità dei fondi già destinati al salario accessorio nel contratto di lavoro 1994/97

§         abolizione del lavoro in affitto e limitazione del ricorso al lavoro a tempo determinato e "atipico";

§         contrattazione d'ateneo di tutti gli aspetti del rapporto di lavoro dei dipendenti tecnico-amministrativi.


Roma, lì  14 luglio 2000 

 

 

                                                               RdB Pubblico Impiego/ Consiglio Nazionale RdB Università