Le fondazioni: un sostegno per le università ?

Adriana Timoteo  (dirigente CGIL),  da Up marzo-aprile 2001.

Con l'approvazione della legge finanziaria 2001 si apre una nuova ed
estremamente delicata fase per le università: all'art. 59 infatti è previsto
che "una o più università possono costituire fondazioni di diritto privato"
per l'acquisizione di beni e servizi e per lo svolgimento di attività
strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca.

Il Consiglio dei Ministri ha già approvato in prima lettura il regolamento
attuativo.

Una nuova ventata di privatizzazione investe gli atenei e rischia di
stravolgere l'intero comparto universitario, danneggiando i lavoratori sia
sul versante professionale che su quello economico.

Finora eravamo avvezzi ad assistere alla costituzione di consorzi, che
affiancavano l'attività delle università, con lo scopo soprattutto di
reperire risorse finanziarie finalizzate al consolidamento delle istituzioni
sul territorio. Tali consorzi assumevano anche personale, con rapporto di
lavoro precario, che trovava poi una collocazione stabile nei ruoli del
personale universitario, e le attività svolte venivano via via assorbite
dagli stessi atenei. Ora, invece, assistiamo ad un processo inverso:
attività universitarie vengono affidate all'esterno, cioè alle fondazioni: è
l'out-sourcing sancito per legge. Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle
fondazioni, recita il regolamento all'art. 14, "sono disciplinati dalle
disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro
subordinato e sono costituiti e regolati contrattualmente". Il sindacato
dovrà essere attento su questo in modo da ottenere una situazione
contrattuale non peggiorativa rispetto al contratto del comparto università,
ben sapendo che esso comunque non rientrerà nell'ambito dei contratti
regolati dal decreto legislativo 29/93, e quindi con tutta una serie di
norme che dovranno essere conquistate partendo dal nulla. A questo proposito
basti pensare alla costituzione delle RSU che per questi lavoratori non sono
assolutamente garantite, alla quantificazione delle ferie e dei permessi,
alla copertura dei periodi di malattia, a tutte quelle regole che noi
abbiamo ereditato da norme di leggi previgenti, e che ora abbiamo riportato
in contratto, ma che nei contratti dell'impresa privata, ove ottenute, sono
state dure conquiste per i lavoratori.

La bozza di regolamento, oltre a dettare norme generali sulle fondazioni,
quali l'essere senza fini di lucro, l'operare esclusivamente nell'interesse
degli enti di riferimento (ovvero le università statali) che ne determinano
gli indirizzi, indica le tipologie di attività attribuibili.

Ritengo opportuno commentare brevemente in particolare il comma 1 dell'art.
2 del regolamento proposto: tutto ciò che ora fanno le università può essere
svolto dalle fondazioni, con esclusione delle "funzioni istituzionali, che
rimangono comunque riservate all'università" - cosė recita già la legge
388/2000. Tali funzioni istituzionali sono quindi esclusivamente la
didattica e la ricerca, ma anch'esse ridotte in quanto viene previsto che le
fondazioni potranno svolgere attività integrative e sussidiarie alla
didattica e alla ricerca.

Dalla lettura dell'elenco delle attività attribuibili si ritrovano tutte le
attività che il personale contrattualizzato ora svolge: l'acquisizione di
beni e servizi, lo svolgimento di attività integrative e sussidiarie alla
didattica e alla ricerca, il supporto alle attività di cooperazione
scientifica e culturale, la realizzazione delle strutture edilizie, il
supporto all'organizzazione di stages e altre attività formative. E'
evidente che nessuno rimane escluso da questa esternalizzazione: sia il
personale tecnico - amministrativo che i lettori di madrelingua. E,
riflettendo sulla vertenza contrattuale nazionale, nella quale i Rettori
hanno già espresso il loro orientamento di eliminare dal panorama delle
professionalità attualmente presenti all'università quella del lettore di
madrelingua, viene un forte sospetto che essi ritengono di poterne fare a
meno proprio perché nell'insegnamento linguistico si sta già concretizzando
il processo di esternalizzazione e, domani, l'attività potrà essere
tranquillamente rinviata alle fondazioni. E cosa dire del futuro degli
uffici tecnici, degli architetti, ingegneri, geometri ora impegnati a curare
gli interessi delle amministrazioni nella progettazione edilizia, nella
direzione dei lavori, nel controllo dei cantieri? Anche queste sono tutte
figure destinate a scomparire.

La ricaduta sugli organici degli atenei risulta immediatamente dalle
considerazioni fatte, ma vi sarà anche una ricaduta economica perché
scompariranno tutte quelle voci che ora entrano nel monte salari, in
particolare nell'accessorio, legate ai risparmi di gestione, agli incentivi
per progetti o per specifiche finalità (ad esempio le risorse previste
dall'art. 43 della legge 449/97 e quelle previste dalla legge Merloni),
oltre alla riduzione della massa salariale corrispondente alle voci
fondamentali per la riduzione degli organici. E se ora facciamo fatica a
chiudere contratti che riconoscano le legittime aspettative di un
riconoscimento di professionalità che i lavoratori esprimono, domani avremo
momenti ancora più difficili, proprio perché del personale contrattualizzato
l'università potrà fare a meno.

Alle fondazioni le università affideranno la gestione dei laboratori,
l'organizzazione dei convegni, la promozione di seminari e conferenze: ci si
può chiedere da chi saranno prese concretamente le decisioni, quando e come.
Ora sono i dipartimenti e le facoltà che autonomamente decidono le attività
da svolgere in campo scientifico e didattico, a grandi linee sono gli organi
di autogoverno dell'università che decidono le linee di sviluppo e di
programmazione del singolo ateneo. Con le fondazioni c'è una rinuncia a
tutto questo da parte degli atenei, perché non viene garantito che
l'intreccio tra l'istituzione universitaria e i suoi momenti decisionali con
le scelte operate dalle fondazioni si sviluppi in modo armonico.
Probabilmente le fondazioni offriranno servizi che le università
accetteranno con molta, troppa, passività.

Ci si può immediatamente porre la domanda: in questa rinuncia da parte degli
organi di governo dell'ateneo come si pone la componente studentesca? E'
consapevole che la sede delle decisioni si sta spostando senza un loro
coinvolgimento? Essendo la fondazione una scelta che parte da aspetti
economici e arriva a trasformare sostanzialmente l'organizzazione del lavoro
all'interno dell'università, e non solo, ma anche i servizi offerti, gli
studenti vengono completamente esclusi da tutte quelle prerogative di
partecipazione al governo dell'ateneo che ora la legge garantisce loro. E
anche nei loro confronti la situazione potrà ulteriormente peggiorare.
Infatti le fondazioni probabilmente offriranno anche servizi agli Enti
regionali per il diritto allo studio, visto che tra i loro compiti è
previsto che possano realizzare "servizi e iniziative volti a favorire le
condizioni di studio". La dizione riportata a questo proposito dall'art. 2
della bozza di regolamento è molto ambigua e non invita a pensare che domani
si creino sinergie tra le istituzioni, ma piuttosto che si evidenzi un
atteggiamento di rinuncia e quindi di riduzione degli interventi, che già
ora non sono assolutamente adeguati alle esigenze degli studenti.

Ben sappiamo che lo strumento delle fondazioni è una possibile opzione, ma
preoccupa molto il fatto che già alcune istituzioni universitarie si stanno
attrezzando già ora per attivarle, prima ancora che il regolamento venga
approvato. Preoccupa soprattutto il fatto che la bozza di regolamento ampli
le possibilità previste dalla legge, individuando anche nella CRUI un
soggetto abilitato a promuovere la costituzione di queste fondazioni. E' un
segnale questo che indica quanto si vuole estendere l'utilizzo di questo
strumento, giacché la CRUI, ed in modo particolare l'attuale presidente,
manifesta sempre una volontà di omologare e uniformare i modelli
organizzativi degli atenei, cercando di ridurre sempre di più gli spazi
all'autonomia delle istituzioni, autonomia che dovrebbe valorizzare le
diversità, migliorare l'offerta formativa, stimolare le attività di ricerca.

Ci sono qui tutti gli elementi che portano a dubitare fortemente che le
fondazioni siano un sostegno per le università, se nell'attivare questo
processo le università rinunciano ai cardini che ora le sostengono:
autonomia, autogoverno, partecipazione degli studenti, e soprattutto
rinunciano alle professionalità che ora sono presenti negli atenei.