RAPPRESENTANZE SINDACALI DI BASE

 

Federazione del Pubblico Impiego, Servizi, Industria e Settore Privato

 

CONFEDERAZIONE UNITARIA DI BASE RdB/CUB   www.rdbcub.it

 

Bologna,  28.09.02

 

Le Fondazioni, nuovo centro di potere.

Le Fondazioni-comunità la “terza via” dei padroni…?

 

Un’avvertenza: nel riportare il seguente articolo sul tema delle Fondazioni non siamo impazziti.

Non siamo infatti diventati anche noi apologeti della bontà delle Fondazioni, né crediamo che esse siano uno strumento che, magari a fronte di sostanziali modifiche – come sembra auspicare il giornalista Marco Cammelli – queste possano trasformarsi in “agile motore di sviluppo sociale ed economico”. Che si tratti di Fondazioni-ente, che si tratti di Fondazioni bancarie, o  che nascano le future Fondazioni-comunità…..

Continuiamo a credere che le Fondazioni, al pari di ogni soggetto finanziario privato, nel finanziare e “sostenere” la Ricerca perseguano, seppure per vie traverse, finalità di profitto. Legittimamente, sia chiaro.

Così come crediamo che altrettanto legittimamente l’Università Pubblica, per essere realmente un “motore di sviluppo scientifico, economico e sociale”, debba essere assolutamente autonoma e libera da vincoli economici con soggetti privati.

Siano essi Imprese, siano essi Fondazioni.

Pensiamo tuttavia sia utile la pubblicazione di questo articolo tratto dalla edizione bolognese de “La Repubblica” e sottoporlo all’attenzione di  tutti, poiché getta luce sulla situazione presente nelle Università italiane a proposito del loro passaggio da Enti Pubblici a soggetti di diritto privato, anche se non riferito specificamente ad alcun Ente.

E’ infatti sufficiente sostituire il termine Fondazione-ente, come riportato nell’articolo, con Fondazione universitaria, e si capisce qual’è l’ultimo “ostacolo” al pieno dispiegamento delle “magnifiche sorti privatizzatrici” delle Fondazioni negli Atenei.

Espresso in poche parole, l’ultimo nodo da sciogliere è “chi controlla chi” ed in che forma.

Saranno le Fondazioni universitarie “autogene” a controllare il processo di privatizzazione, o piuttosto le Fondazioni bancarie, forti del loro potere finanziario, a prevalere?

Noi, pur distanti da entrambi i soggetti, temiamo di conoscere la scontata risposta.

Il ministro Tremonti, in accordo con le indicazioni di TUTTI i Governatori delle Regioni, ha tentato di sottomettere queste ultime al potere politico locale.

Un tentativo di “dirigismo statale”, seppure in chiave federalista, che paradossalmente ha trovato l’opposizione del Centro-Sinistra, data la contingente minoranza di Regioni controllate da questi, e motivata dal pensiero liberista del “lassez-faire” rivolto ai soggetti economici.

Qui si aprirebbe un’interessante digressione, purtroppo lunga ed articolata, e che quindi rimandiamo ad altra occasione.

Di fatto resta pressoché  intatto il potere delle Fondazioni bancarie che, intoccabili e scarsamente controllabili, hanno così la porta aperta nel sostituire completamente lo Stato in ogni sua funzione.

Finanziamento, sostegno, e – vien da sé – indirizzo della Ricerca e della Didattica, si apprestano a diventare prerogativa esclusiva dei banchieri.

Gli ultimi legacci stanno per essere tagliati.

Buona lettura.                                                                                                        RdB Università

 

LE FONDAZIONI NON DIVENTINO UN NUOVO CENTRO DI POTERE LOCALE

(La Repubblica 26 settembre 2002) – Marco Cammelli

 

Con l’imminente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del regolamento Tremonti si aprirà per le Fondazioni ex bancarie la fase (da completare entro 90 gg.) di revisione dei propri statuti. Una fase che è valutata da molti, dopo la cadute del tentativo di attrarre le Fondazioni nell’orbita di influenza del Ministero dell’Economia e dei governi regionali e locali previsto nell’originario progetto, poco più di un adempimento formale.

Ci sono  tuttavia due buone ragioni per dubitare della bontà di una soluzione minimalistica. La prima è che la veste istituzionale delle Fondazioni risulta oggi definita solo sul lato superiore, nel rapporto cioè con il centro statale e i centri di vigilanza, mentre il resto, e in particolare il rapporto con la società e le istituzioni locali, rimane comunque da precisare; la seconda è che tale messa a punto è riservata alla autonomia statutaria delle Fondazioni e non si vede come queste ultime possano omettere di affrontare il problema.

Dunque, le questioni sul tappeto sono numerose e delicate, e conviene allora andare al cuore del problema che è rappresentato dal ruolo da assegnare alla Fondazioni, vale a dire dalla scelta tra due possibilità, che naturalmente possono avere in concreto varie soluzioni intermedie, ma che per comodità è utile contrapporre: da un lato è la Fondazione-ente, vale a dire un soggetto che in virtù della propria autonomia e delle consistenti risorse di cui dispone, riserva a se stessa, pur mantenendo relazioni di buon vicinato con i poteri circostanti,  la scelta del che fare, quali settori privilegiare, quanto e a chi erogare, se e quanto gestire direttamente. L’opzione per un soggetto sostanzialmente separato che, al di là di meritorie eccezioni, opera in continuità con il passato e cioè con una relazione privilegiata con la banca di riferimento, con ampia discrezionalità e contenuta pubblicità, e in prevalente posizione di risposta alle richieste pervenute. Inutile notare come questo stato di cose faciliti la concentrazione di potere decisionale su gruppi molto ristretti, esposti a pressioni autoreferenziali e soprattutto sensibili a quelle dei principali attori locali, facendo delle Fondazioni un vero e proprio elemento chiave del nuovo sistema politico. In breve potere tra i poteri ed anzi con ogni probabilità, tra gli elementi determinanti; sul lato opposto c’è la Fondazione-comunità e dunque una soluzione che in significativa discontinuità col passato ma in piena coerenza con la legge Ciampi, prende distanza dall’azienda bancaria e dagli attori del sistema locale e si propone come luogo terzo (e forse unico) per offrire spazio e decifrare le domande e le necessità che non sanno neppure farsi “domanda” della società locale, e che vi provvede privilegiando forme di corresponsabilità (non solo finanziaria) dei soggetti interessati. Si tratta di un modello, altrove funzionante, il cui scopo essenziale è appunto quello di dare voce a realtà “afone” e di valorizzare il “capitale sociale” di cui la realtà emiliana e romagnola è fortunatamente assai ricca. Considerando che l’esperienza passata è più vicina alla prima soluzione e la via da praticare in prospettiva più alla seconda, è chiaro che tra queste dinamiche va trovato un punto di equilibrio  I rapporto con le istituzioni, ad esempio, è necessario ma è più chiaro ed utile per entrambi le parti se avviene in modo esplicito sui temi di fondo e in termini di sistema e non di singola richiesta.

Il che significa anche trovare un livello adeguato nel quale regione ed enti locali possano come tali, e non solo tramite i loro rappresentanti nelle Fondazioni, fare sentire la voce propria e delle comunità che rappresentano. Ma, nello stesso tempo, la Fondazione deve svolgere un ruolo cruciale su quel versante della realtà sociale la cui voce ancora cade nella terra di nessuno e che non è fatta solo di bisogni o emarginazione ma anche di iniziative ed energie non raccolte, che con qualche sforzo possono diventare risorse decisive.

In breve, un terreno in cui le altre istituzioni stentano a trovare il passo giusto e che  è invece quello favorito per un soggetto agile, provvisto di risorse e istituzionalmente “permeabile” come questo tipo di Fondazione.

Questa è la posta in gioco. E questo, tra l’altro, è anche tecnicamente preliminare ad ogni altra opzione, perché non solo la scelta dei settori di attività da privilegiare o la composizione degli organo ma anche la distribuzione dei compiti al loro interno, la sequenza del processo decisionale, la stessa disciplina delle incompatibilità presuppongono tali opzioni e ne costituiscono, anzi, lo svolgimento.

Ecco perché, nel porre mano ai nuovi statuti, non bastano i piccoli accorgimenti.