RAPPRESENTANZE SINDACALI DI BASE

Federazione del  Pubblico Impiego,  Servizi,  Industria  e  Settore Privato

 
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- RdB/CUB Università -

 

Bologna,  01.09.03

E’ arrivato il babau!

…stringiamoci intorno all’Istituzione.

 

Il Rettore dell’Università di Bologna ha diffuso due documenti della CRUI del 18 e del 24 Luglio sulla questione del presunto progetto governativo “accentra-stipendi”, forse sperando nella “comprensione” e solidarietà dei dipendenti tecnici amministrativi. Ci siamo allora chiesti perché mai dovremmo farci carico dei problemi dei baroni, a fronte dei nostri problemi e dei loro privilegi. Pur non desiderando difendere né la CRUI, né tanto meno il Ministero, riteniamo utile esporre qui di seguito esponiamo alcune nostre prime considerazioni, ritornando, se necessario, più avanti con ulteriori interventi.

 

I documenti nazionali…

Dagli atti inviati sembrerebbe emergere la totale unanimità degli atenei italiani nell’opporsi all’ipotesi ventilata dal Ministro del Tesoro: ad ogni Università, statale o non statale, piccola o grande, di recente istituzione o antica, (…), debbono corrispondere adeguate risorse, in coerenza con le linee di sviluppo generale del sistema fissate dal MIUR.”.

Nei documenti vi é poi un pallido accenno: “La CRUI ribadisce che le autorità ministeriali dispongono di tutti gli strumenti per monitorare con tempestività l’andamento reale delle spese per ciascun Ateneo e per intervenire nella maniera più incisiva nei casi effettivi e ben isolabili di sforamento”.

e le interpretazioni bolognesi.

Nella lettera di accompagnamento ai documenti, il Rettore dell’Università di Bologna riprende la questione con ben altra forza: “… anziché colpire indiscriminatamente tutti gli atenei infliggendo loro la punizione della perdita di autonomia nella gestione del personale (questa è la soluzione che il Ministero sostiene), il Ministero dovrebbe provvedere ad individuare gli atenei che non si attengono alle norme (sfondando nella spesa del personale - talora in modo incredibile – il limite del 90 % del fondo di finanziamento ordinario) e quindi a sottoporli ad amministrazione controllata. Il MIUR possiede tutti gli elementi per procedere in questa direzione: avrebbe l’appoggio deciso di tutti gli atenei che hanno considerato l’autonomia non un privilegio o un aereo concetto per convegni ma lo strumento per una difficile, ma proficua, assunzione di responsabilità.”

Tralasciando la più volte denunciata arbitrarietà del parlare di “spesa per il personale” invece che di “spesa per il corpo docente” e tralasciando anche l’ipotesi di “amministrazione controllata” di cui non si trova traccia nei documenti CRUI, la posizione dell’Università di Bologna, quasi ‘voce dal sen fuggita’, apre uno squarcio enorme sulla radicale dualità degli atenei italiani.

Regole da furbi.

Una parte di  atenei riescono a stare dentro il tetto del 90%.

Ragionevolmente, tale limite per i grandi atenei rappresenta la possibilità di gestirsi ed anche di incrementare il loro sviluppo.

Ma rispettare ferramente il 90% per un ateneo recente, per questo molto più piccolo e per conseguenza con un budget molto più contenuto, significa privare questa realtà di ogni possibilità di crescita.

In questa situazione proporre un blocco, fra gli atenei che stanno dentro il tetto e che drenano una enorme quantità di risorse a loro favore ed il Ministero, finalizzato a ‘spezzare le reni’ a chi non rispetta quel vincolo, ha un valore politico preciso, che ognuno può facilmente valutare.

Prima considerazione “accademica”.

Il fatto è che, se mai il Governo avesse il coraggio (del quale è lecito ogni dubbio) di approvare un provvedimento quale quello “accentra-stipendi”, i grandi atenei vedrebbero immediatamente venire meno la rendita di posizione della quale godono in virtù delle loro dimensioni e dovrebbero misurarsi, nell’ambito di una ripartizione nazionale, nella corsa a nuovi posti di personale docente con atenei più piccoli ma spesso più moderni, dinamici e strettamente legati al territorio. E’ per questo che a molti non appare assurda l’idea che gli incrementi del corpo docente non debbano essere più lasciati ai singoli atenei, poiché questo significa libera proliferazione per i grandi atenei ed impossibile crescita per quelli piccoli.

Si diffonde finalmente l’idea che la crescita del corpo docente, per potersi svolgere in maniera armonica, debba essere programmata a livello nazionale, in maniera tale che non solo gli atenei ma anche le realtà geografiche, economiche e sociali sui quali essi insistono possano fruire dei benefici culturali e scientifici della crescita delle università.  

I lamenti di boiardi e manager delle Aziende Universitarie.

Naturalmente il nostro Direttore Amministrativo ha elevato altissimi lai alla perdita dell’autonomia (ma non diceva che vive nella difficoltà perenne di trovare fondi ?).

La verità è che un provvedimento di quel tipo determinerebbe una forte riduzione del ruolo dei D.A.: ne ridurrebbe drasticamente il peso politico togliendogli la funzione di grandi gestori (vien quasi da dire maneggiatori) dei finanziamenti che arrivano agli atenei.

Mistificazioni buone per utili  idioti.

Il dato che passa nella vulgata, in base al quale una grande parte dei finanziamenti agli atenei vanno nelle retribuzioni del “personale” genericamente e complessivamente inteso, è falso!

Il dato corretto è che una gran parte dei finanziamenti agli atenei è assorbito dal corpo docente. 

Innanzi tutto gli stipendi del corpo docente sono tra i migliori del pubblico impiego e quelli del personale tecnico amministrativo sono i peggiori, perciò l’incidenza percentuale ed assoluta di questi ultimi è del tutto marginale.

I primi sono soggetti a rivalutazione automatica ed annuale sulla base dell’inflazione accertata; i secondi sono soggetti a contrattazioni infinite, sempre in ritardo e comunque nettamente inferiori all’inflazione registrata.

Inoltre si è sviluppato un meccanismo, articolato nelle seguenti tipologie di retribuzione, con il quale il corpo docente si accaparra una quantità di risorse che va ben al di là dello stipendio.

Una lista di privilegi.

Una prima parte dei finanziamenti è utilizzata per il pagamento degli stipendi dei docenti nella loro qualità di dipendenti dell’Università Pubblica. In cambio dello stipendio il docente assolve “i compiti istituzionali”: in pratica tiene il suo corso di lezione (con le attività ad esso connesse, quali esami, ricevimento studenti, tesi, ecc.).

Poiché nulla è previsto per determinare un carico didattico minimo, il corso istituzionale può avere 300 studenti o può averne 15 o anche 3: lo stipendio è comunque percepito pieno ed i compiti istituzionali risultano assolti.

Ma “i compiti istituzionali” non coprono tutti i corsi di un’università: una certa percentuale rimane “scoperta”. Pertanto ogni anno si provvede a dare ad essi un titolare, chiedendo ai docenti chi voglia tenere a pagamento i corsi scoperti. Naturalmente i docenti, spesso i ricercatori nella fattispecie, aderiscono con spirito di abnegazione e chi ottiene queste supplenze si vede pagato un altro corso.      In tale modo una seconda parte dei fondi destinati agli atenei finisce ai docenti.

Ancora non basta: altri corsi rimangono comunque scoperti. Si ricorre quindi alla stipulazione di contratti con personale esterno “non strutturato”, cioè con persone che non siano dipendenti di nessuna università.

Una terza fetta del finanziamento pubblico viene quindi utilizzata per questi contratti.

Si dirà: ma questi fondi non vanno ai docenti bensì vanno ad esterni. Questo è vero, ma è anche vero che questi esterni sono allevati, curati, indicati, sollecitati dai docenti: sono carne della loro stessa carne.

Sia detto per inciso che questo sarà un danno che si rifletterà sul futuro dell’Università italiana poiché spesso si tratta di personale con pochissima esperienza di insegnamento: almeno il sistema baronale di un tempo garantiva che in aula arrivasse gente che avesse alle spalle un minimo di curriculum. Questi invece talvolta non sanno neppure per quale corso di laurea stanno facendo lezione.

E poi questi esterni servono ad alleviare le pene del corpo docente che, come è facile intuire, riserva ad essi i corsi meno graditi.

Tuttavia non si è ancora esaurito l’elenco. Infatti, da un po’ di tempo sono stati inventati i “tutori”. Personale anch’esso esterno che avrebbe il compito di sostenere a vario titolo gli studenti dal punto di vista della didattica e dello studio.

In questo modo altri fondi agli atenei trovano la loro strada di utilizzo. C’è da dire che questi soldi spesso non compaiono sotto la voce “retribuzione” bensì sotto la voce “didattica”.

Anche in questo caso vale il principio che il tutore per un corso lo indica il docente di quel corso, che in tal modo potrà essere alleviato nei suoi compiti istituzionali quali ricevimento, assistenza, ecc. degli studenti.

Si tratta dunque, come è evidente, di danaro che viene percepito dal corpo docente:

· direttamente;

· a mezzo di nomina di propri collaboratori di fiducia;

· a titolo di retribuzione per attività che diversamente dovrebbero essere assolte dal corpo docente.

Seconda considerazione “accademica”.

Resta da chiedersi quali reali funzioni svolga il corpo docente “baronale”, una volta acquisita questa pletora di docenti “vassalli”…..

Sempre più spesso risulta imbucato in qualche commissione, consiglio, organo accademico, etc…: una pura e semplice funzione amministrativa o nel migliore dei casi politica.

E’ un fiume di finanziamenti che formano la parte viva, più corposa dei fondi che lo Stato dà alle università. A fronte di ciò, interventi di razionalizzazione sono certamente auspicabili e bisognerebbe che ad essi si mettesse mano. Che poi questo Governo non sia in grado di realizzarli non è difficile da credere, così come bisogna ricordare che la situazione descritta è stata creata e giulivamente gestita dai precedenti governi con ampie e trasversali maggioranze.

Il nostro interesse…

…sta in primo luogo nella demistificazione di dannosi luoghi comuni, utili solo al “baronato” dei giorni nostri.

Oggetto di interesse ben più corposo potrebbe rivelarsi invece lo scorporo definitivo delle voci retributive del corpo docente da quelle del personale tecnico amministrativo.

Chiarezza e  trasparenza avvierebbero, ne siamo certi, benefici effetti di reale e produttiva riorganizzazione a vantaggio dei lavoratori, degli studenti, dell’Università tutta e una riduzione dello sperpero di denaro pubblico.

…il nostro interrogativo.

C’è ancora spazio per il buon senso…?

 

RdB Università