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RAPPRESENTANZE SINDACALI DI BASE Federazione del Pubblico Impiego, Servizi, Industria e Settore Privato CONFEDERAZIONE
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Università -
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LETTERA APERTA AL MINISTRO MORATTI.
Onorevole
Ministro,
approfittiamo dell'occasione, con la presentazione pubblica della "Prima
relazione sullo stato dell'Università in Italia", per esprimere alcune
nostre considerazioni su quanto si sta discutendo attorno al futuro
dell’Università.
Cominciamo col dire che
apprezziamo l’iniziativa promossa dalla CRUI, perché apre una fase nuova e
positiva nel rapporto tra Paese e Accademia, ma dobbiamo con altrettanta
chiarezza denunciare l’assenza dall’organizzazione di questa iniziativa
dell’intervento delle due altre componenti dell’Università: gli studenti e i
lavoratori tecnico-amministrativi.
C’è un deficit di democrazia nella realizzazione di questa iniziativa che svela – ancora una volta – il
carattere verticistico del sistema universitario. Per
esso parlano solo ed esclusivamente il corpo docente,
anzi la baronia, e la nuova “managerialità” che dirige gli atenei. Non crediamo
che si tratti solo dello strascico di un costume del corpo baronale e di vecchi
funzionari arroccati al proprio privilegio di casta o al proprio ruolo, segnatamente
d’antan, dal momento che gli attori di questa iniziativa,
come di una gestione più che decennale della Università “riformata” e
“autonoma”, appartengono a una nuova generazione accademica e “manageriale”
cresciuta nel mito della “modernità” e protagonista di 15 anni di “riforme”
dell’Università.
Altrettanta scarsa attenzione verso la
marginalizzazione degli studenti e dei lavoratori tecnico-amministrativi la troviamo nell’atteggiamento dell’Istituzione che Lei
rappresenta, il Governo, che appare più preoccupato della messa sotto controllo
dei poteri delle autonomie – nel nome comunque di una politica di riduzione dei
finanziamenti pubblici - che di valorizzare l’Università Pubblica e dotarla di
quei mezzi necessari a svolgere fino in fondo e riqualificare la propria
funzione a garanzia del diritto allo studio, della didattica e della ricerca
pubblica e, infine ma non per ultimo, onorare gli impegni contrattuali con il
personale tecnico-amministrativo che attende ormai da 21 mesi il rinnovo del contratto
nazionale di lavoro scaduto (e tanto per iniziare un segnale di attenzione
pagando la dovuta Indennità di Vacanza Contrattuale).
Se entriamo nel merito della questione “autonomia” universitaria noi non possiamo certo schierarci con quanti
esaltano l’autonomia a prescindere dall’esperienza concreta di un decennio di
autonomia “finanziaria “ e di finanziamento a budget degli atenei. Per i lavoratori l’autonomia ha significato il rinvio sistematico
dei rinnovi dei contratti (mediamente a 3 anni dalla scadenza), la
frantumazione del contratto nazionale, la riduzione dei riconoscimenti di
produttività negli atenei (che ha fatto fallire ogni illusione di
contrattazione integrativa vera negli atenei) e in sintesi la riduzione del
potere d’acquisto dei salari (che restano ancora oggi i più bassi del pubblico
impiego), una progressiva riduzione degli organici (enfatizzata negli ultimi
due anni dal blocco delle assunzioni: persino i Rettori lo ammettono parlando
di un aumento del 10% degli organici docenti, e una riduzione del 2% degli
organici “non docenti”), la precarizzazione selvaggia
del lavoro, e, in prospettiva, la fuoriuscita dalle tutele del contratto
nazionale a seguito dei progetti di esternalizzazione
generalizzata dei servizi o addirittura di trasferimento a fondazioni di
diritto privato di personale tecnico-amministrativo oltre che di fondi,
patrimonio, competenze e conoscenze degli atenei pubblici.
Per gli studenti le “riforme”
e le “autonomie” hanno significato la cancellazione del diritto allo studio (e
dunque il blocco della mobilità sociale), la dequalificazione
dei titoli di studio, la dequalificazione degli studi
stessi e la certezza di uno sbocco lavorativo precario e senza futuro.
L’autonomia ha però comportato anche altro. Dell’uso
dei fondi tutti a favore della docenza abbiamo già
detto citando le modifiche degli organici, ma poi anche il consolidamento dei
privilegi e del potere della baronia come della creazione ex novo di una vasta
dirigenza d’ateneo, ben pagata (spesso con contratti di natura privata e sempre
con fortissimi incentivi) e detentrice del potere di gestire i fondi. Per non
parlare infine dell’intensa attività “immobiliare” che gli atenei vanno
sviluppando ormai da anni.
Gli organi accademici restano appannaggio della baronia:
nessun processo di democratizzazione degli organi
accademici è venuto avanti negli atenei, come non è venuto avanti nel governo
del sistema nazionale universitario che è ormai appannaggio esclusivo dei
Rettori a scapito del Comitato Universitario Nazionale, unico organismo – fino
a poco tempo fa - atto a garantire l’autonomia del sistema stesso.
Come si vede l’autonomia è stato un processo i cui costi economici, sociali e in termini di partecipazione,
sono stati addossati alle componenti più deboli
e fatti pagare a studenti e lavoratori “non docenti”.
Inoltre i tagli ai fondi pubblici e le “crisi” di
bilancio, impossibili da contenere con mere operazioni di “razionalizzazione” della spesa, rischiando
cioè di punire le Università più piccole, più recenti, meno ricche o mal in
arnese - questo significherebbe spostare la competizione tra gli atenei dal
piano della qualità della didattica al piano della capacità economica - esasperano
una situazione che ha come unico sbocco lo smantellamento di quegli atenei.
Perciò non ci appassiona lo scontro tra autonomia e accentramento così come è posta. Ci preoccupa invece che
esso si svolga nell’ambito di una politica di riduzione dei fondi a sostegno
dell’Università pubblica e in una prospettiva di accentuazione
della questione economica come l’unica e determinante nella gestione delle
autonomie: dunque alla perpetuazione del danno a carico dei diritti degli
studenti, dei diritti dei lavoratori tecnico-amministrativi, della
partecipazione delle componenti alla vita accademica, della didattica e della
ricerca pubblica, delle funzioni pubbliche dell’Università.
Adeguamento dei fondi pubblici, fine
della competizione economica tra gli atenei, democratizzazione degli organi di
gestione delle autonomie e del sistema universitario, ripristino del diritto
allo studio (e rilancio della mobilità sociale), riqualificazione della
didattica e della ricerca universitaria. Questo riteniamo
sia l’orizzonte entro cui intavolare una interessante discussione.
E, per quanto ci riguarda direttamente e
immediatamente come lavoratori tecnico-amministrativi,
apertura delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale (con immediato
pagamento dell’Indennità di Vacanza Contrattuale); veri aumenti salariali,
sblocco delle assunzioni e copertura del turn over con la stabilizzazione dei
contratti di lavoro di quanti hanno fatto esperienza e acquisito competenze con
contratti di lavoro precari; garanzia della copertura delle spese per
l’aggiornamento stipendiale del personale e in particolare per l’aggiornamento
contrattuale tempestivo degli stipendi del personale tecnico-amministrativo e,
soprattutto, separazione dei fondi per i docenti e i dirigenti da quelli del personale
tecnico-amministrativo.
Questi
gli obiettivi da perseguire per una Università
pubblica solida, moderna e riqualificata.
Per questi motivi riteniamo utile ed urgente un
incontro con Lei, Onorevole Ministro.
Siamo convinti che la conoscenza delle considerazioni che i lavoratori
dell'Università esprimono Le possano essere di grande supporto e possano
riuscire ad illuminare efficacemente la Sua azione di Governo nel settore.
Viceversa, l'ignorare la richiesta di
ascolto, non può che esacerbare stati d’animo già ricchi di malumore.
Cordialità.
Roma, 25.09.03
RdB/CUB Università