Per difendere
salari e pensioni, ci vuole
Diverse
forze sindacali, politiche e della società civile hanno dato via a un Comitato
Nazionale per il ripristino della scala mobile. Questo Comitato ha promosso una
raccolta di firme su una proposta di legge di iniziativa popolare che intende
ripristinare un sistema di adeguamento automatico delle retribuzioni,
svincolato dai contratti nazionali ed utile a
restituire alla contrattazione nazionale il suo reale significato: ottenere
aumenti “reali” di salario e non, come invece succede oggi, semplici
adeguamenti all’inflazione programmata.
La scala mobile fu introdotta in Italia nel dicembre del ’45 con lo
scopo di tutelare i salari, gli stipendi e le pensioni, rivalutando gli stessi,
con cadenza trimestrale, al tasso di inflazione, determinato dall’aumento reale
dei prezzi dei generi di consumo. Viceversa, nei rinnovi dei contratti
nazionali si rivendicavano aumenti salariali “veri”, ossia incrementi
retributivi mirati a migliorare la propria condizione economica e sociale. In
questo modo la scala mobile tutelava i salari dall’inflazione e il contratto
nazionale portava reali aumenti di stipendio.
Gli accordi concertativi del ’92-’93 abolirono
la scala mobile e introdussero con i rinnovi contrattuali un nuovo automatismo
collegato al recupero dell’inflazione programmata. I lavoratori si sarebbero
fatti carico della crisi di sistema attraverso la moderazione salariale ed in
contropartita avrebbero ottenuto il severo controllo sui prezzi e tariffe. Come tutti sanno non andò così.
L’accordo
del ’93, tra l’altro prevedeva che i contratti si sarebbero rinnovati sulla
base dell’inflazione programmata dal Governo e che in caso di scostamento,
rilevato a posteriori, tra l’inflazione programmata e quella reale – come
certificata dall’Istat sulla scorta di un paniere di beni costantemente
modificato e non certo per adeguarlo alle esigenze delle famiglie dei
lavoratori dipendenti – si sarebbe contrattata la cifra da restituire ai lavoratori
“depurandola dall’inflazione importata”, cioè dall’andamento del costo del
barile di petrolio.
L’accordo
del ’93 ottenne, però, anche un altro brillante risultato esattamente
opposto a quanto sostenuto dalle confederazioni firmatarie: è stata svuotata la
funzione stessa del contratto, diventato un mero atto notarile con
cui le organizzazioni sindacali non
possono far altro che prendere atto dell’inflazione programmata.
Oggi,
pur con diverse giornate di scioperi e manifestazione, i lavoratori non
riescono neanche a difendere il valore reale del salario: meno di quanto
riusciva a fare, in modo automatico, la scala mobile!
La crisi delle retribuzioni: nell’ultimo decennio, in Italia,
milioni di famiglie di lavoratori e pensionati sono scivolati verso la soglia
di povertà e, spesso, nell’indigenza. E’ tornata, dopo decenni dalla sua
scomparsa, la sindrome della “quarta settimana”: pur lavorando, il salario non
basta più per
arrivare alla fine del mese, per non parlare delle pensioni.
Oggi
molti si domandano come si può uscire da questo regime di bassi salari, che sta
mettendo in crisi l’economia italiana, condannandolo alla stagnazione dei
consumi interni a causa della bassa capacità di spesa dei lavoratori e
pensionati. Dalla crisi non si esce con forme di sussidio alle famiglie o, come
propone
Ripristinare la scala mobile
vuole dire “adeguare i salari” al caro
vita, uscendo dalla assurda situazione che vivono oggi i lavoratori, costretti
a scioperare per ottenere una parziale retribuzione di quanto perso a causa
dell’inflazione.
Bisogna
rimettere al centro della discussione politica una diversa e più giusta
redistribuzone del reddito e della ricchezza prodotta per restituire dignità al
lavoro.
Mercoledì 10 maggio vieni a firmare la
proposta di legge:
Facoltà di
Giurisprudenza (dalle ore 10,00 alle ore
12,00 )
Facoltà di Lettere
(dalle ore 13,00
alle ore 16,00)