Caro Rettore, ricambio gli auguri …

 

 

 

Gent. Professore A. Finazzi Agrò,


la ringrazio e ricambio  gli auguri per il nuovo anno, anche a nome di  quella  parte di “collaboratori” che ritengo, forse con un po' di pretesa, di poter ancora  rappresentare.


Dal suo messaggio emerge l'orgoglio e la soddisfazione di aver guidato e condotto il nostro ateneo ai risultati da lei richiamati  e che ci pongono in posizione rilevante nel sistema università, nazionale ed internazionale.  Scrivo "nostro" ateneo perché come componente del personale tecnico amministrativo mi riconosco parte integrante della comunità universitaria e, dunque, parte attiva nel processo di crescita.

A buon ragione il suo augurio  è rivolto anche a  noi, in quanto collaboratori, ma proprio questo senso di  appartenenza mi ha portato a scorrere il suo messaggio con crescente amarezza e sconforto. Perché noi del personale non sempre ci sentiamo trattati e in particolare "valorizzati" come collaboratori, ancora di più coloro che  operano per la ricerca e didattica, ambiti da lei citati per gli importanti  risultati  ottenuti.

Sarà che l'impegno sindacale acuisce il mio senso critico, ma non posso – ancora una volta - non recriminare sul fatto che la nostra università ha anche un altro primato (di cui non vantarsi però): è l'unica università che,  dall'introduzione del nuovo ordinamento professionale (dal 2000), ancora non ha proceduto ad alcuna progressione  di carriera!

E' un'attesa che rischia di logorare ed  appiattire lo spirito di iniziativa e partecipazione dei collaboratori,  anche perché i posti disponibili (ormai fantomatici)  sono veramente irrisori e non sfugge a nessuno, purtroppo,  la chance  data dalle appartenenze familiari o  dall'avere qualche santo in paradiso.

 

In ogni modo e' apprezzabile il recente investimento sulle assunzioni di personale che eliminano in parte il precariato, giunto  negli ultimi anni a considerevole dimensione. Non sempre, però, si riescono  a cogliere gli obiettivi  della programmazione, più che altro se c'è  una programmazione.

Non a caso le rappresentanze del personale ne chiedono da tempo la relazione.

E' emblematico l'esempio dell'informatico assunto, con curriculum di tutto rispetto e  destinato poi, suo malgrado, a svolgere funzioni di aiuto contabile e costretto quindi ad inventarsi una diversa professionalità; oppure l'assegnazione dell'amministrativo direttamente  "alla cattedra", quando ormai tutta l'organizzazione del lavoro, e quindi le norme e le regole interne sono  centrate sulla funzionalità della "struttura dipartimentale"; i tecnici destrutturati che non non trovano posto nel Policlinico (nonostante stiano rinnovando il contratto a più di  un centinaio di co.co.co) e a cui ancora non è stata assegnata  alcuna  competenza in Facoltà.



 

 

 

Ci rendiamo conto con amarezza che a volte contiamo più come pedine o merce di scambio

in situazioni, giocate molto in alto,  che  poco hanno a che fare con la professionalità e con le esigenze  di organizzazione del lavoro. Più che altro, come si lega il  tutto con la cosidetta "meritocrazia", qualcuno ce lo dovrà pur spiegare.


 Non raccolgo dunque l'elemento innovativo  rispetto alle logiche di un sistema di politiche del personale che speravo facesse parte del passato.


 Nonostante tutto, i collaboratori -  ancora -  vorrebbero essere motivati e in condizione di   contribuire alla crescita dell'ateneo con maggior competenza.


Uscendo dall'ambito strettamente del personale, ho colto con altrettanto sconforto  il riferimento alle residenze destinate anche ai  "clienti" del Policlinico. E' una terminologia  appropriata alle "finalità" della Fondazione e ne paventavo le conseguenze in ambito sociale nel mio ultimo  comunicato sindacale sull'accordo per l'avvio della Fondazione  PTV. Sarò ideologica, come lei mi ha addebitato in uno dei miei interventi in Senato Accademico contro le fondazioni, ma in tema di assistenza sanitaria preferirei che si continuasse a considerare e trattare i malati come "pazienti", più che come "clienti", che nel mio immaginario rispondono più ad esigenze di  "mercato" e quindi di "profitto".


Con queste mie considerazioni, molto immediate e parziali in verità, intendo raccogliere   il messaggio che  lei ci ha inviato rilanciando gli auguri, con l'auspicio che  il passaggio ad un nuovo anno stia a significare il passaggio ad una nuova fase. Quella giusta affinché tutti possano dare e ricevere in maniera equa, perché non conta solo quelle che si riesce a fare, ma anche come: con rispetto e considerazione di tutti coloro che vi contribuiscono


Ricambio, quindi, gli auguri per un Nuovo Anno.



Anna Maria Surdo


(delegata RdB, RSU, ex senatrice)

 

 

Roma 3 gennaio 2008