Cile
Le ultime parole che Allende rivolge al suo popolo
mentre è in corso il golpe che annegherà il Cile in un bagno di sangue durato
17 anni, lasciano presagire la tragedia che si sta preparando.
Pinochet è diventato il simbolo macabro delle dittature militari
in Latinoamerica, e vale la pena ricordare perché:
40000 morti; oltre 3000 desaparecidos ingoiati dallo
stadio di Santiago, torturati, spariti nel nulla; 300000 arrestati; un milione
di esuli: su una popolazione di meno di 15milioni di abitanti. Quasi un cileno
su 10, la totalità dei militanti della sinistra moderata e rivoluzionaria, dei
lavoratori e degli studenti che avevano animato l’esperienza del governo di
Salvador Allende, sono vittime dirette della
repressione.
Una repressione che dai primi
giorni mostra la propria natura di operazione congiunta e internazionale in
tutto il Cono Sud, con una regia purtroppo tristemente nota, quella della CIA:
durante i primissimi giorni di giunta militare escono dalle frontiere ancora
chiuse solo i treni merci sigillati che deportano centinaia di rifugiati
politici che dalla Bolivia, dal Brasile e dall’Uruguay (dove già vigono
dittature militari) avevano trovato scampo nel Cile e che ora vengono
riconsegnati ai loro aguzzini; ed entrano solo i consiglieri militari
brasiliani e statunitensi.
All’alba dell’11 settembre il via
al colpo di stato era stato dato dai marines cileni a
Valparaiso, appena tornati nella notte da
un’esercitazione congiunta con navi da guerra statunitensi, mentre un ponte
aereo collegava gli USA a Mendoza, città argentina ai
confini con il Cile, consegnando ai golpisti benzina, missili e bombe; Nixon, Kissinger e i servizi di
intelligence erano intervenuti direttamente nella politica cilena distribuendo
milioni di dollari agli oppositori del governo di Unidad
Popular, finanziando i proprietari di camion che
paralizzarono il paese con una lunga serrata (mentre molti camionisti volevano
riprendere il lavoro), i medici e altre categorie professionali. Ma già nel
1970 la CIA e le grandi multinazionali statunitensi (prima tra tutte l’International Telephone and Telegraph) avevano speso centinaia di migliaia di dollari
per tentare di condizionare le sorti del paese e impedire l’elezione di Allende, come già nel 1972 è stato documentato dal giornalista
statunitense Jack Anderson.
Per comprendere il perché di
questa violenta politica di sterminio è utile studiare le misure adottate nei
tre anni di Unidad Popular
e gli interessi che il governo cileno aveva intaccato nel perseguire una
politica di ridistribuzione dei redditi, di
partecipazione popolare e di riappropriazione delle
risorse, sotto la guida del ministro Vuskovic, che
non a caso fu uno dei primi ad essere fucilato dalla giunta golpista:
importantissima fu la nazionalizzazione delle miniere e dell’industria del
rame, allora in mano a cinque grandi compagnie nordamericane, per le quali gli
indennizzi furono calcolati deducendo i “profitti eccessivi” – quindi sottratti
al popolo cileno – a partire dal 1955: con questi calcoli le tre maggiori di
queste compagnie non ottennero alcun indennizzo. Va ricordato che in Cile si
trovavano le maggiori riserve di rame del mondo (circa un terzo del totale), e
che fin dagli anni ‘20, cioè da quando il rame aveva soppiantato il salnitro
come pilastro dell’economia cilena e parallelamente l’egemonia britannica
cedeva il passo al dominio statunitense, i più importanti giacimenti erano in
mano alla Anaconda Copper Mining
Co e alla Kennecott Copper Co., che nel giro di mezzo secolo avevano provocato
un’emorragia dal Cile agli USA di 4000milioni di dollari, fino a superare alla
fine degli anni ’60 i 100 milioni di dollari all’anno: ciò avveniva con la
complicità del governo democristiano di Eduardo Frei,
che tra il 1965 e il 1969 aveva permesso a queste imprese di triplicare i
propri profitti attraverso un regime tributario ad hoc, proprio negli stessi
anni in cui le riserve nordamericane di rame erano calate del 60%.
Non solo: furono nazionalizzate
l’industria del salnitro, le miniere di ferro e l’industria metallurgica; le
banche e le compagnie di assicurazione; le ferrovie e i trasporti aerei e
marittimi; la produzione e l’industria del petrolio e dei suoi derivati; furono
requisite molte imprese private in diversi settori dell’industria, dei
trasporti, delle comunicazioni, dell’energia, del commercio e tutte le
proprietà della ITT; furono espropriati i latifondi mentre i contadini e i Mapuche occupavano le terre: lo stato giunse a controllare
l’80% della superficie agricola e forestale del Cile e le terre più produttive
divennero proprietà pubblica.
Dal punto di vista del progresso
tecnologico vale la pena menzionare che il governo cileno – eravamo agli inizi
degli anni ’70, cioè alla preistoria della rivoluzione informatica – arrivò a
dotarsi di un centro informatizzato per lo studio dei modelli matematici di
macroeconomia, completamente distrutto dal golpe.
Nel giro di un anno il prodotto
interno lordo aumentò dell’8,5%, furono costruite 73mila case, la produzione
industriale e agricola aumentò del 6%, la disoccupazione calò dal 6,1% al 3,8%,
l’inflazione dal 32,5% al 21%, i salari aumentarono in termini reali del 28%, e
la percentuale della retribuzione del lavoro rispetto al reddito nazionale
totale passò dal 50% al 61,7%.
Con questi risultati Unidad Popular, che aveva
ottenuto il 33,6% nelle elezioni presidenziali e governava senza maggioranza
parlamentare, ottenne un formidabile successo nelle elezioni del 1971,
raggiungendo il 49,8% dei voti: non era mai successo nella storia del Cile che
un governo aumentasse la sua forza elettorale nel primo anno di mandato
presidenziale.
La popolarità del governo dei
lavoratori fu confermata nelle elezioni del marzo 1973 quando, ormai in un
clima di guerra imposto dai grandi monopoli internazionali, preludio del golpe,
mentre l’opposizione si preparava ad incassare più di due terzi dei voti, Unidad Popular ottenne il 43,4%
raccogliendo l’80% del voto giovanile, e il partito socialista divenne il primo
partito del paese.
Le riforme economiche avevano
modificato profondamente l’assetto proprietario del Cile, sottraendo le risorse
al capitale straniero, il quale si apprestò a rovesciare il governo di Allende armando i massacratori e ponendo bruscamente fine
alla lunga tradizione democratica del paese.
Non era la prima volta che i
paesi occidentali scatenavano la violenza per mantenere i propri privilegi:
poco meno di un secolo prima, quando la dipendenza commerciale del Cile dalla
Gran Bretagna era maggiore di quella dell’India, lo stato cileno, sotto la
guida del presidente Balmaceda, tra il 1886 e il 1890
aveva dato impulso allo sviluppo di alcune industrie e di importanti opere
pubbliche, riformato la scuola, intrapreso misure per rompere il monopolio
delle compagnie ferroviarie inglesi e, nel 1888, annunciato la nazionalizzazione
dei distretti salnitrieri. Non passò molto tempo, tre
anni, e scoppiò una guerra civile finanziata dalle compagnie inglesi del
salnitro mentre le navi da guerra britanniche bloccavano le coste del Cile. Gli
investimenti statali in strade, ferrovie, scuole, opere pubbliche cessarono
immediatamente e le imprese britanniche continuarono a estendere i loro imperi.
Ciò nonostante, nella storia del
Cile il dibattito sulla nazionalizzazione dei ricchissimi giacimenti minerari,
così come sull’esproprio dei latifondi, non cessò mai; forse proprio per questo
fu in Cile che ebbe luogo, nel 1954, la prima missione del Fondo Monetario
Internazionale, i cui precetti per imporre il dominio finanziario statunitense
furono da lì esportati in tutta la regione. E il primo nucleo di riforma
agraria varato sotto la spinta popolare già dal governo Frei
non fu mai applicato: il governo di Allende si trovò
così a dare corso a misure ampiamente dibattute, fortemente ostacolate e
lungamente attese.
L'11 settembre 1973 il golpe
stroncò il coraggioso tentativo del popolo cileno di riappropriarsi della sua
storia.
Il ruolo che le forze armate
avrebbero svolto nella destabilizzazione violenta della via cilena al
socialismo, in parte compreso e in parte drammaticamente sottovalutato, era
stato oggetto di dibattito nel paese e tra le forze che sostenenvano
Unidad Popular. Il MIR
(movimento de izquierda revolucionaria)
chiedeva lo scioglimento delle strutture militari tradizionali e la
sostituzione dell’esercito e dei suoi vertici (considerati collusi con il golpismo) con organismi di difesa popolare; al contrario
l’ala moderata di Unidad Popular,
criticando le posizioni antimilitariste del MIR e di parte del partito
socialista, puntava a guadagnare l’appoggio o almeno la neutralità degli alti
gradi dell’esercito coinvolgendo i militari nel governo. Questo processo portò
a continui rimpasti di governo e alla nomina, nelle settimane precedenti al
golpe, di Augusto Pinochet e di altri generali che
avrebbero presto guidato il colpo di stato (considerati leali al governo) tra i
ministri; intanto oltre cento marinai e sottufficiali di rango minore venivano
arrestati e processati (con l’accusa di cospirazione) per aver denunciato i
preparativi del golpe.
La data del golpe fu anticipata
di tre giorni dopo che Pinochet fu messo al corrente
da Allende (in una riunione ristrettissima convocata
il 9 settembre) del referendum che il presidente del Cile intendeva annunciare
l’11 settembre per allentare la tensione che si andava aggravando di giorno in
giorno e sottoporre l’azione del governo all’approvazione popolare.
La dittatura militare si affrettò
a restituire la metà dei monopoli industriali nazionalizzati da Allende agli antichi proprietari, e a mettere in vendita
l'altra metà; adottò riforme commerciali che favorirono le esportazioni,
rendendo di nuovo l'economia cilena dipendente dai capitali stranieri.
Represse e portò alla morte i
sindacati, decentrò le trattative salariali incrementando la flessibilità dei
lavoratori, impose un sistema pensionistico privato individuale e volontario.
Il prezzo del latte aumentò
immediatamente del 40%, la mortalità infantile ebbe un drammatico incremento.
Una recente inchiesta sull'alfabetizzazione ha
dimostrato che oggi il 54% della popolazione adulta (cresciuta negli anni di Pinchet) non capisce ciò che legge.
Dopo tre anni di giunta militare
un quarto della popolazione cilena non percepiva nessuna entrata.
Va quindi sfatato il luogo comune
secondo cui la dittatura regalò al Cile stabilità e benessere economico: il
Cile di Pinochet fu il primo della classe ad
applicare le ricette liberiste dei Chicago boys, che
provocarono una gravissima crisi economica nel 1982, costata al paese
500milioni di dollari all'anno e le cui conseguenze si fanno ancora sentire. Ma
soprattutto furono cancellate le politiche di ridistribuzione
del reddito, scomparve la classe media e si aprì un abisso tra il benessere di
pochi e la miseria di molti.
Quando nel 1990 si indicono
"libere" elezioni sono passati due anni dal referendum che ha detto
No a Pinochet. In questi due anni i militari
contrattano con le forze di opposizione la transizione alla democrazia (è
proprio nel 1989 che la Banca Centrale viene resa indipendente dallo stato) e
si assicurano la propria impunità. Pinochet rimane
comandante delle forze armate e senatore a vita (fino al 2002, anno in cui si
dimette da senatore a vita).
I governi del dopo Pinochet sono così ostaggio dei militari golpisti: non è un
caso che i primi due presidenti eletti siano stati Patricio Aylwin
e il figlio di Eduardo Frei. Frei
e Aylwin erano esponenti di spicco della democrazia
cristiana (Frei era stato presidente del Cile prima
di Allende, Aylwin era il
segretario della DC cilena), e nel settembre 1973 avevano appoggiato il golpe. Il
13 settembre avevano dichiarato: "Il passato dimostra che le forze armate
e i carabinieri non cercano il potere. I propositi di ristabilimento della
normalità istituzionale, della pace, e dell'unità dei Cileni espressi dalla
giunta militare di governo interpretano il sentimento generale e meritano la
cooperazione patriottica di tutti i settori. Siamo fiduciosi che non appena
completato il suo lavoro la giunta militare restituirà il potere al
popolo". Neanche una settimana dopo, mentre infuria la repressione, Frei e Pinochet festeggiavano la
"normalizzazione" assistendo insieme al te deum
proclamato dall'arcivescovo di Santiago.
17 anni dopo Pinochet
passava le consegne a Patricio Aylwin.
Non stupisce allora la politica
dei governi Aylwin e Frei:
l’indirizzo neoliberista non viene messo in discussione, mentre le politiche
economiche puntano all'inserimento del paese nell'economia globalizzata,
rendendo il paese dipendente dalle esportazioni e sensibile alla congiuntura
mondiale (alla fine degli anni '90, in seguito alla crisi asiatica, la
disoccupazione passa improvvisamente dal 5,3% al 9,8%); al braccio armato della
destra, i militari, viene lasciata piena indipendenza e il ricatto golpista è
costante; nessuna legge viene neanche proposta senza essere stata prima
concordata con la destra all'opposizione.
L'eredità della dittatura
militare non smette di farsi sentire quando nel 2000 il socialista moderato
Ricardo Lagos vince le elezioni per un soffio (al ballottaggio, con il 51%)
contro Joaquin Lavin, membro
dell'Opus Dei e di un partito (Unione democratica indipendiente) che ha sempre sostenuto Pinochet.
In quei giorni Pinchet viene arrestato a Londra; il governo lo difende e
lo riporta in Cile, promettendo di fare giustizia in patria. Ma il processo non
ha ancora avuto luogo, bloccato dalla favola della leggera demenza senile.
Lagos, sempre più ostaggio dei militari, riannoda il dialogo con l'opposizione
proprio a partire dall'amnistia, mentre continuano i processi ai protagonisti
dell'opposizione al regime e secondo dati del Fondo Monetario Internazionale di
agosto 2002 in Cile il 10% delle famiglie più ricche si spartisce il 41% dei
redditi mentre al 20% delle famiglie più povere resta solo il 3,7%.
Non si tratta di vicende lontane
da noi. I nostri paesi europei e democratici, orgogliosi di una tradizione
culturale e civile che spesso viene opposta alla brutalità degli Stati Uniti,
hanno grandi responsabilità nel mantenimento di un ordine repressivo basato
sull'ingiustizia economica e sociale.
Ricordiamo una vicenda forse non
a tutti nota, quella di un oppositore politico cileno al regime di Pinochet, Jaime Yovanovic Prieto, ancora
ricercato dalla giustizia cilena per la sua partecipazione alla resistenza. Prieto è stato arrestato in Italia nel 2002 ed è stato
spedito in Sudafrica (paese dal quale era giunto in Italia) dove è stato
incarcerato per alcuni mesi. Nel frattempo, mentre il Sudafrica respingeva la
richiesta di estradizione da parte del Cile e finalmente lo rimetteva in
libertà, l'Italia rifiutava di concedergli l'asilo politico. Nelle settimane
scorse Prieto è tornato in Cile - dove è stato
immediatamente arrestato - con l'intenzione di portare avanti nel suo paese la
battaglia per la propria libertà e perché siano giudicati i massacratori
golpisti e non gli oppositori alla dittatura.
Roma, 11 settembre 2003
Comitato
contro la guerra – Università di Roma “Tor Vergata”