Una grande manifestazione ha invaso le strade del centro di Roma e riempito la piazza del Campidoglio sotto l’insegna di Roma Non Si Vende. Un segnale decisamente incoraggiante per chi persegue da tempo l’obiettivo di costruire ponti e legami tra lavoratori e territorio, cittadini e abitanti in un fronte comune di lotta alla privatizzazione dei beni comuni ed alla cancellazione dei diritti collettivi.
A fare da collante a questo arcipelago assai composito di movimenti ed organizzazioni sociali ci ha pensato l’amministrazione commissariale con il DUP, il Documento Unico di Programmazione, nel quale sono delineate le linee guida per il governo della città nei prossimi anni, indipendentemente da chi vincerà la prossima competizione elettorale. E’ proprio la lettura attenta di questo documento che ha convinto in molti della necessità di costruire un fronte ampio di lotta al progetto di sottomissione della città alla logica del mercato.
La manifestazione aveva tre grandi aree tematiche. Quella degli spazi sociali, messi a rischio dalla pretesa di recuperare tutti gli spazi abbandonati da anni e anni dall’amministrazione comunale, trascurando quella ricchezza di lavoro sociale, creatività ed impegno che hanno permesso in questi anni di dar vita a centinaia di esperienze associative o autogestionarie di grandissima rilevanza per la vita della città. Una larga parte della manifestazione era perciò costituita dai centri sociali e dalle attività artistiche e culturali che sono cresciute in quegli spazi nel corso degli anni, e che oggi sono tutte a rischio di sgombero.
L’altra area tematica era quella del welfare, dove si riconoscevano i lavoratori organizzati in USB e in altre realtà del sindacalismo di base, e l’esperienza della Carovana delle Periferie, attiva nella difesa dei servizi pubblici sul territorio. Qui il tema è quello dei servizi, inteso sia dal punto di vista dei lavoratori, della salvaguardia del loro ruolo, del salario e dell’occupazione, sia dal punto di vista del cittadino/utente, portatore di diritti che per essere salvaguardati hanno bisogno che il servizio rimanga a gestione e proprietà pubblica.
La terza area tematica era quella del diritto all’abitare, dove si intrecciano le richieste immediate di mettere fine alla politica degli sfratti e degli sgomberi, con quella di affrontare finalmente i nodi di una nuova politica abitativa che ridia spazio agli alloggi popolari e fermi la speculazione. Forte la presenza degli inquilini dei Piani di Zona organizzati con Asia, determinati a denunciare lo scandaloso utilizzo di fondi pubblici per l’edilizia che invece di essere destinati per le fasce deboli della popolazione, sono finiti in mano alle banche e stanno distruggendo la vita di migliaia di famiglie.
Lo striscione di apertura della manifestazione rivendicava il diritto della città a decidere del suo futuro, un principio democratico che il governo Renzi sta scientemente sottraendo a tutte le comunità locali. I cambiamenti della Costituzione, la riforma Madia della Pubblica Amministrazione con il recente Testo Unico sulla riorganizzazione dei servizi pubblici locali, e più in generale tutti i vincoli che in questi anni sono stati imposti alle amministrazioni locali sul bilancio, sulle assunzioni, sulle società che gestiscono i servizi collettivi, costituiscono una gabbia che grava sul governo delle città e sulla vita dei suoi abitanti. Da Roma è salito un grido collettivo a rimettere in discussione questo schema, un segnale di lotta al governo Renzi e una proposta al resto del paese a contrastare tutti assieme il processo di svendita del territorio nazionale e dei nostri beni comuni. Da Roma non si vende a l’Italia non si vende il passo può sembrare breve, ma il percorso per arrivarci non è affatto semplice.
Intanto a Roma non ci si accontenta della protesta. Ora tutti sono al lavoro per costruire il programma, o la Carta della Città, da elaborare nei quartieri e da fissare come base di riferimento per tutti i movimenti e le realtà organizzate che ci si riconoscono. Non un programma elettorale ma un piano comune sul quale costringere la politica a misurarsi. Ma è la consapevolezza che i giochi sulla città non si fanno al Comune, ma li determina il governo che spinge a guardare oltre.
La protesta che parte da Roma alle politiche antisociali del governo Renzi può e deve essere raccolta anche nelle altre città. Su questo occorrerà impegnarsi seriamente già a partire dalle prossime settimane. La nostra organizzazione, da tempo impegnata nella campagna sul welfare e contro le privatizzazioni, può raccogliere questa spinta che viene dalla primavera romana e l’assemblea nazionale del prossimo 3 aprile è un’ottima occasione per raccogliere la sfida.