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Studio di fattibilità impianto di generazione a biomassa legnosa per l’università degli studi di Roma “Tor Vergata”

OSSERVAZIONI

PROFILO AMBIENTALE

Non è citata nello studio un analisi chimica delle biomasse legnose al fine di escludere la presenza di sostanze inquinanti non degradabili (metalli, polveri sottili) che possono essere entrate nel ciclo naturale delle piante per assorbimento o contaminazione superficiale. I residui legnosi presi in considerazione provengono infatti da un ambiente urbano fortemente inquinato. L’indagine andrebbe fatta sia in relazione alle zone cittadine di prelievo delle biomasse, sia al tipo di pianta (questo perché ogni pianta reagisce diversamente all’ambiente esterno).

Se contaminate significativamente queste biomasse, una volta bruciate, disperderebbero in aria ciò che le piante avevano concentrato sottraendolo all’inquinamento globale.

Altro aspetto non menzionato è che il bruciamento di biomasse legnose produce anche ceneri (a differenza del metano) che, in parte vengono disperse in aria, in parte restano come residuo nella sottocamera di combustione. L’asportazione di queste ceneri rappresenta un costo sia in termini di manutenzione di caldaia, sia in termini di trasporto e smaltimento.

Infine lo studio enuclea CO2 e Nox ma non fa cenno all’emissione di idrocarburi (soprattutto gli idrocarburi poliaromatici, quali il benzopirene), la formaldeide, il particolato respirabile.

ARCHITETTURA DELL’INIZIATIVA

L’architettura descritta è quella di un Project Financing 80/20 dove i soci proponenti (Università, Interenergy e Pegaso), più eventuali altri che si aggiungeranno dopo gli accordi preliminari, costituiscono una società di scopo che apporterà il 20% del valore dell’intero progetto sia in contanti, sia con apporto di beni materiali ed immateriali. Il restante 80% del valore del progetto sarà reperito da enti finanziatori (banche od altri).

La ripartizione tra quote societarie e conferimenti dei tre soci iniziali (così come descritta nello studio) è sproporzionata in favore di Interenergy e Pegaso il cui apporto è solo di beni immateriali.

Interenergy infatti si riserva un 60% delle quote societarie della costituenda s.r.l. solo per la sua attività di promoter: cioè aver avuto l’idea del progetto, aver sviluppato le relazioni tra i vari soggetti coinvolti fino all’attuale fase di fattibilità.

Pegaso si riserva il 10% delle azioni a fronte della realizzazione del progetto tecnico economico e del lavoro necessario ad ottenere le necessarie autorizzazioni di legge. Questa attività generalmente non vale più del 3-4% del valore generale del progetto, cioè 600.000 euro e non i 900.000 quotati a pagina 21, cifre ben lontane dal 1.500.000 euro che vale la sua quota societaria.

Non tragga in inganno il fatto che le due società sono impegnate anche nella fase di realizzazione e gestione dell’impianto (pagina 20) perché queste attività verranno poi remunerate a parte attraverso l’affidamento dell’EPC (Engineering, Procurement, Construction, cioè ingegneria, acquisto dei materiali e macchinari, costruzione) come è indicato nello schema di pagina 28, attraverso un apposito contratto di fornitura chiavi in mano e di un altro contratto per l’esercizio e manutenzione dell’impianto per un certo numero di anni.

L’unico socio a conferire beni materiali è l’università che mette a disposizione un ettaro di terreno (un ettaro e non 5000metri quadri perché per essere realisti la superficie necessaria all’opera è di 10000 metri quadri).

In conclusione mentre le due società si ritroveranno ad avere un utile vero (per il 60% e il 10% rispettivamente) di quelli previsti a partire dal 2008 (conto economico di pag.33) pur non avendo sottoscritto capitali o beni materiali (se non in minima parte), l’università avrà solo una compensazione (sia pure significativa) tra utili (circa 400.000 euro/anno a partire dal 2008) e spese di energia elettrica e termica per un totale che supera i 2.500.000 euro/anno.

Tenuto conto che è assai probabile che Pegaso ed Interenergy non siano interessate a restare nella società anche dopo la messa in funzione dell’impianto e che perciò le loro quote saranno cedute ad uno o più partner strategici (ad esempio Acea ) sarebbe opportuno che l’Università tutelasse maggiormente i suoi interessi o esigendo una quota societaria di almeno il 40% a scapito degli altri due soci, o negoziando dei contratti di fornitura di energia elettrica e termica più vantaggiosi per lei, con una differenza: che nel primo caso non si avrebbero influenze sui parametri economici del progetto, mentre nel secondo caso sì perché diminuirebbero i ricavi e quindi la remuneratività generale.

PARAMETRI TECNICI

Non è chiaro se l’approvvigionamento della massa legnosa è sufficiente al funzionamento dell’impianto per le 8000 ore l’anno preventivate. Infatti a fronte di un consumo di 48.000 tonnellate anno di cippato (6 t/h per 8000 ore) i dati elencati a pagina 25 per la potatura alberi del comune forniscono una media di 44622 t/anno che si riducono ulteriormente a causa del processo di coppatura. E’ vero che il deficit (che potrebbe anche essere significativo) dovrebbe essere colmato da approvvigionamenti dal verde dei privati ed altre provenienze di biomasse da regione e provincia, ma allo stato non ce ne è evidenza quantitativa e certa.

Facendo l’ipotesi che l’impianto abbia una autonomia di funzionamento di almeno una settimana, significa che la scorta di cippato da mantenere nel serbatoio di accumulo è pari almeno a 1000 tonnellate, il che in termini volumetrici significa un edificio di circa 1200metri cubi da aggiungere al totale elencato a pagina 12, oltre ad altri 800 metri cubi da conteggiare per la catena di alimentazione del cippato.

Inoltre, per mantenere costante il livello della scorta di cippato, bisogna conteggiare l’arrivo in centrale di 144 tonnellate giorno di questo materiale che significa la movimentazione di 7-8 camion da 20 tonnellate al giorno

Altro aspetto importante riguarda le stime sulla producibilità annua della centrale. L’ipotesi fatta di 5 Mwe e 7 Mwt per tutto l’anno appare eccessivamente cautelativa, tenuto conto che una buona ingegneria dovrebbe prevedere di riutilizzare il vapore di spillamento nei mesi dove la domanda termica è minore per aumentare la produzione elettrica fino a 7 Mwe, anche perché dagli stessi numeri presentati a pagina 30 si evince che le frigorie necessarie in estate sono minori delle calorie necessarie in inverno per una quantità pari a 1500.000 Kwh che al prezzo di vendita di 175 euro al Mwh fanno 262.500 euro di ulteriori introiti.

Tra l’altro gli orari riportati a pagina 29 per conteggiare calorie e frigorie in inverno ed estate sono orari adatti alle abitazioni non ad un luogo di lavoro e di studio: scaldare gli interi complessi delle facoltà fino alle ore 22.00 o refrigerarli fino alle 20.00 è uno spreco che difficilmente si giustifica con la presenza di poche persone qua e là (abitazioni dei custodi a parte). Analogo ragionamento si può fare per il mese di agosto (non è forse chiusa l’università?) o per i mesi “intermedi” dove non serve mantenere accesi i riscaldamenti per tutto il giorno. Proprio perché questo progetto si configura in qualche modo tra quelli cosiddetti ecosostenibili, il risparmio energetico dovrebbe essere parte integrante delle sue finalità.

PARAMETRI ECONOMICI

La stima dei costi della materia prima (che poi è il combustibile della centrale) riportata a pagina 31 è fatta “come se” il chippato si dovesse comprare sul mercato per un costo annuo di oltre 2 milioni di euro/anno.

Da quanto esposto circa gli accordi con gli enti locali, sarebbe più giusto e trasparente esemplificare le effettive componenti di costo, visto che la raccolta la fa comunque il comune, che riguardano trattamento e trasporto del materiale in centrale (sempre che il conferimento delle biomasse da parte del comune sia gratuito, visto che risparmia i costi dello smaltimento).

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