RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO.
USB PI rappresenta nel comunicato, che di seguito pubblichiamo, la realtà che nell’ emergenza sanitaria sta vivendo l’Università di Pisa a conclusione di una fase (Fase III) che, in effetti, non è mai veramente decollata.
L’incremento esponenziale dei contagi da Covid-19 e i reparti ospedalieri ormai saturi ci stanno riportando rapidamente alla prima fase dell’emergenza sanitaria.
Purtroppo la realtà rappresentata da USB PI Università di Pisa è emblematica di tante altre università italiane, arroccate in un sistema che in questo momento di crisi sta rivelando tutte le sue contraddizioni.
Università di Pisa aperta, ma per chi?
Al di là della facciata di eccellenza anche in era Covid, come stanno andando davvero le cose nell’Università di Pisa? Sappiamo che, praticamente, la macchina non si è mai fermata, ma quali riscontri abbiamo dall’interno?
In generale i lavoratori lamentano mancanza di trasparenza, di controlli, comunicazione inadeguata e la pressoché totale discrezionalità concessa ai responsabili delle singole strutture nell’organizzazione del lavoro.
Ricordiamo come, alla fine del lockdown, nella frenesia di far ripartire attività e servizi a tutti i costi, si sia fatto appello alla volontarietà e alla disponibilità dei lavoratori, senza una pianificazione dei rientri che prevedesse turnazioni tali da garantire una rotazione del personale e un uso congruo degli spazi, conformemente alle disposizioni anti-contagio.
Ancora nell’attuale Fase 3 si riscontrano incongruenze, dato che, nonostante l’indicazione contenuta nell’ultimo DPCM di incrementare il lavoro a distanza, in diverse strutture non si attua nemmeno la soglia minima del 50% prevista per legge e, anzi, molti lavoratori operano in presenza a tempo pieno.
Nessuna attenzione è stata poi riservata alla problematica della mobilità, al fatto che un maggior numero di persone si muovono, utilizzano mezzi di trasporto, congestionano la città, si concentrano negli spazi lavorativi.
E la sanificazione degli ambienti lavorativi e delle aule? L’appalto del servizio di pulizia ad una ditta esterna rende complicato il controllo, ma di sicuro c’è lo sfruttamento degli addetti, per i quali al maggior carico di lavoro previsto non corrisponde né un aumento delle ore lavorabili, né del salario.
Per non parlare della gestione dei casi Covid verificatisi all’interno dell’ateneo in questi mesi e in questi giorni: vengono disposti isolamenti, quarantene e sanificazioni straordinarie, ma a mancare ancora una volta sono una comunicazione e un’informazione efficaci, generando così inevitabilmente diffidenza e senso di insicurezza.
A chi giova questa riapertura delle strutture e dei servizi universitari in genere? Non certo agli studenti, soprattutto a quelli fuori sede che ne sono inevitabilmente esclusi. Anche perché non dobbiamo dare per scontato che in tempi di crisi tutti abbiano la possibilità di una connessione internet e di mezzi tecnologici per usufruire delle risorse e dei servizi da remoto!
Nei laboratori e nelle biblioteche troviamo tecnici e bibliotecari, ma mancano coloro che dovrebbero esserne i maggiori fruitori. A meno che tutto questo non serva solo all’immagine mediatica, al rating o anche agli scopi di ricerca di qualche noto professorone…
Riconosciamo certo l’utilità della didattica a distanza, ma non si può pensare di proporla quale soluzione alternativa e prospettiva futura, né si può negare che l’impossibilità di avere un contatto diretto con compagni di studio e docenti stia snaturando completamente quella che dovrebbe essere per gli studenti un’esperienza di vita e di studio altamente formativa, consapevole, condivisa e partecipata. E ciò è particolarmente vero per gli iscritti al primo anno, che si è deciso di escludere dalle lezioni in presenza.
Si inventano app per prenotare i posti in aula, si allestiscono sale studio all’aperto e si cedono poli didattici ad uso dei licei cittadini, ben sapendo che per ora gli studenti presenti sono appunto una netta minoranza, mettendo sotto il tappeto l’annoso problema della carenza di aule e soprattutto di vere e proprie sale studio.
In tutto ciò, però, le tasse universitarie vanno pagate lo stesso.
Qual è la logica di fondo in tutto questo? Tagliare le spese relative a personale, studenti e sicurezza e, di contro, investire su ciò che produce profitto, attira mercato (progetti di ricerca sempre più ambiziosi ed innovativi, convenzioni, accordi con enti pubblici e privati, start-up) ed alimenta l’immagine di competitività che l’Università si è data. Eppure, come ben dichiara il bilancio, i soldi non mancano di certo. L’Università di Pisa produce utili ogni anno, trasformandosi sempre più in un’azienda che, come tale, punta innanzitutto al guadagno. Tutto il resto è diventato secondario, ramo secco.
Inevitabilmente l’aziendalismo che si è deciso di perseguire nel nostro ateneo, a prescindere dal momento critico attuale, sta disgregando un’intera comunità universitaria e impoverendo progressivamente la realtà economica, sociale e culturale di questa città.
In questo senso, l’Unione Sindacale di Base continua a battersi perché l’Università non sia asservita alle logiche del mercato e ad interessi economici privati, ma resti prima di tutto un ente pubblico di formazione superiore, dove didattica, studio e lavoro rivestono un’importanza centrale tanto quanto la ricerca.
Pisa, 23.10.2020 USB – Università di Pisa