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Per l’Università si omologa l’ordinamento professionale al modello degli altri comparti, ma non gli stipendi del personale universitario.

 

Non si comprendono le ragioni che hanno legittimato la firma di alcune sigle sindacali all’ipotesi di rinnovo del contratto nazionale. Nessuna delle timide migliorie evocate dai sindacati firmatari, tutte da verificare, giustifica lo smantellamento dell’ordinamento professionale attualmente in vigore volto all’introduzione di un quadro di nuove figure che penalizza un po’ tutti a fronte di irrisori aumenti stipendiali che non consentono né il recupero del potere di acquisto perso con l’inflazione reale e né l’adeguamento ai livelli stipendiali degli altri settori del pubblico impiego.

Non sono previsti incrementi contrattuali per la parte stabile del fondo accessorio, limitando in tal modo il numero delle progressioni economiche possibili, per di più contingentate a un numero massimo di cinque nell’arco della vita lavorativa.
Pur se confermate dai precedenti CCNL, alcune voci volte a possibili finanziamenti della parte stabile dell’accessorio continueranno a non essere valorizzate perché non sono stati eliminati i blocchi dettati dai vincoli di stabilità.                    

Con le risorse aggiuntive previste dalla legge di bilancio del 2022 per il fondo salario accessorio, il personale dell’Università viene “valorizzato” in misura ridicola ed una tantum, una sorta di bonus in linea con le politiche governative.   
Si conferma, pertanto, l’inefficacia dello spacchettamento dei famosi 50 milioni. Sono pochi 25 milioni per valorizzare il personale tecnico amministrativo e bibliotecario delle università, perché saranno pochi gli eletti a beneficiarne, introducendo un ulteriore ingiustificato elemento di sperequazione salariale in applicazione dei principi di matrice brunettiana.             

Si aspettano anni per il rinnovo, si approva un contratto già scaduto da 1 anno e mezzo e poi le questioni più spinose si scaricano, strumentalmente, sulla contrattazione decentrata.       
Negli Atenei si continuerà ad agire in modo diversificato in un quadro di regole più o meno arbitrarie, creando forti disparità tra gli atenei e non è valsa l’operazione di restyling della bozza dell’accordo (sostituiti i termini “premi” e “performance” dal testo) per nascondere il ruolo di corresponsabili che, tramite la contrattazione integrativa, le OOSS firmatarie si sono assunte con la firma di questo accordo. Non a caso si è posta particolare attenzione alla materia delle “relazioni sindacali”.

Non si risolve il problema  dei  sottoinquadramenti  professionali esistenti, finché le assunzioni o le progressioni di carriera non saranno svincolate dai punti organici.             

Dopo anni di ritardi, ancora una volta si rinvia ad un successivo accordo nazionale la trattazione sul personale delle Aziende Ospedaliere Universitarie, la parte economica dei Collaboratori esperti linguistici, la figura del tecnologo e del contratto di ricerca.

In definitiva, in un periodo di grave crisi rispetto alla perdita di potere d’acquisto dei lavoratori dell’Università, la risposta dell’ARAN, sottoscritta dai sindacati complici, è di assoluta sordità e miopia nei confronti delle esigenze del settore.

La verità che balza evidente ancora una volta è la marginalità a cui i sindacanti trattanti hanno confinato il settore Università, inserito nel Compartone (su cui questa tornata negoziale sembra avere certificato l’inutilità) dove la Scuola, da cui si distanzia per specificità e contesti lavorativi estremamente diversificati, ha attratto e condizionato pesantemente la trattativa, penalizzando ulteriormente l’Università.      
Se prima eravamo fanalino di coda del Pubblico Impiego, dopo il rinnovo il fanalino si è addirittura fulminato!

Roma, 17 luglio 2023                               

USB Pubblico Impiego – Università

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