Come se nulla fosse, i Rettori si aumentano l’indennità di carica, in alcuni casi con incrementi del 500%. Il contenimento della spesa, dunque, vale solo per il personale sottoposto a sacrifici e rinunce perché … c’è la crisi!
Con DPCM del 23 agosto 2022, in attuazione dell’articolo 1, comma 596, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, è stato adottato un Regolamento contenente procedure, criteri, limiti e tariffe in materia di compensi, gettoni di presenza e ogni altro emolumento spettante ai componenti gli organi di amministrazione e di controllo, ordinari e straordinari, degli enti pubblici.
I compensi sono definiti da Regolamento sulla base dell’applicazione di un criterio di gradualità che tiene conto delle dimensioni economico-patrimoniali degli enti, della loro complessità gestionale, del ruolo e del numero degli organi. A tal fine, gli enti sono ordinati in cinque classi dimensionali.
L’applicazione delle disposizioni contenute nel regolamento non deve determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Qualora la procedura di determinazione di un compenso dovesse dar luogo ad un importo in misura maggiore rispetto a quello precedentemente stabilito, le conseguenti necessarie risorse aggiuntive andrebbero reperite dagli enti e organismi interessati mediante una corrispondente riduzione strutturale delle spese di funzionamento, ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalla legislazione vigente.
Insomma, dalla lettura del DPCM si ricava la “possibilità” di una rideterminazione dei compensi in essere e non certo un “vincolo”, un “obbligo”. Possibilità che evidentemente alcuni Rettori non si sono lasciati sfuggire e che in alcuni casi ha visto ipotesi di incrementi pari addirittura al 500%. Cosa che a questo punto ci suggerirebbe di considerare morigerati quei Rettori (il fronte dei “frugali”) che si sono attestati ad un più modesto incremento del 120/130%.
Non va male nemmeno ai componenti dei CdA, in alcuni casi anche ai Revisori dei Conti, che vedono tramutarsi i gettoni di presenza in indennità di carica corrisposte su base annuale e di tutto rispetto!
Il tutto accade, come se nulla fosse, sullo sfondo di una pesante questione salariale, di allarmante aumento della povertà, di rischio di collasso delle strutture sanitarie, di ridimensionamento scolastico, di aumento del caro vita, di crisi delle immatricolazioni in non pochi Atenei, di fatiscenza del patrimonio edilizio, quello universitario incluso, nonché di una situazione abitativa degli studenti e delle studentesse indegna di un paese che pretende di dirsi civile!
A fronte di richieste di chiarimenti e trasparenza, perché in alcuni casi non si è potuto leggere i verbali delle sedute per capire quali siano le ragioni di opportunità politica alla base delle decisioni assunte, forse con intento riabilitativo, un rettore (uno di quelli che si sono più che raddoppiati il compenso) “ha promesso” di incrementare con fondi di bilancio il salario accessorio del personale tecnico amministrativo e bibliotecario (TAB).
Una sorta di concessione, una possibilità finora negata al personale TAB, anche se da tempo praticata legittimamente in tutti gli atenei.
Non ci resta che constatare mestamente ancora una volta che siamo sempre lì, fermi a “Li soprani der monno vecchio” di Giuseppe Gioacchino Belli per cui “chi abbita a sto monno senza er titolo, nun po’ avé mmai vosce in capitolo”.
Come organizzazione sindacale auspichiamo una maggiore consapevolezza da parte delle governance che ben altri sono gli aspetti importanti su cui gli Atenei devono intervenire.
E continueremo a parlarne, se non altro per contrastare lo stato di rassegnazione a cui vogliono relegarci!
USB Pubblico Impiego Università