Attuazione delle nuove misure di contenimento della pandemia. DPCM 3 novembre 2020
Al Direttore Generale
Dr. Giuseppe Colpani
e,p.c.
Al Prorettore alle Relazioni Sindacali
Prof. Nathan Levialdi Ghiron
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Il 19 ottobre 2020 è stato firmato il decreto del Ministro per la Funzione Pubblica in merito allo smart working nelle pubbliche amministrazioni. Il decreto ministeriale attua le norme del decreto Rilancio, alla luce dei Dpcm del 13 e 18 ottobre. Occorre ricordare che il Decreto rilancio (con le modifiche apportate in sede di conversione in legge) era intervenuto per regolamentare il rientro in servizio mantenendo comunque una percentuale di personale in modalità agile. Con il provvedimento emanato (che resta in vigore fino al 31 dicembre) si interviene nuovamente sulla materia, alla luce dei preoccupanti segnali di ripresa dei contagi.
In primo luogo si modifica il vincolo del 50% del personale impegnato nelle attività che possono essere svolte da remoto, fissando quella percentuale come soglia minima e puntando ad elevare il più possibile la stessa compatibilmente con le capacità organizzative delle Amministrazioni.
Con l’ultimo DPCM firmato il 3 novembre, su tutto il territorio nazionale è richiesto il massimo ricorso allo smart working da parte dei datori di lavoro pubblici e privati.
Alla luce degli ultimi provvedimenti governativi, si chiede a codesta Amministrazione in base a quale giustificazione ha inteso applicare in senso contrario le misure contenitive, dal momento che obbliga i responsabili di struttura dell’Amministrazione Generale ad incrementare le giornate lavorative in presenza fino a quattro giorni la settimana.
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Covid-19, USB: non mancano solo posti letto e medici, la vera emergenza è l’assenza di infermieri e operatori sociosanitari. Serve una massiccia campagna di assunzioni.
Sulla nuova emergenza Covid-19, che nonostante fosse prevista da mesi ha trovato impreparate la stragrande maggioranza delle regioni, sentiamo dire ogni giorno che nelle grandi città il tracciamento del contagio è saltato, che mancano ovunque i posti letto di terapia intensiva e i medici anestesisti necessari per il loro incremento.
Stranamente, non sentiamo mai parlare della carenza di infermieri perché, se per 100 posti di terapia intensiva occorrono 92 anestesisti, di infermieri per operare in sicurezza ne occorrono ben 350.
Così si rincorrono le segnalazioni di protocolli aziendali pensati e strutturati in maniera tale da cercare di non compromettere le già esangui dotazioni organiche, protocolli che però non prevedono per gli infermieri e gli operatori sociosanitari piani di sorveglianza epidemiologica periodica, ma che prescrivono i tamponi diagnostici solo in presenza di sintomi. Conseguenza diretta di questa situazione è la ripresa vertiginosa del contagio e degli infortuni tra i lavoratori, attestata e certificata dall’Inail.
Assistiamo di nuovo alla riduzione, se non alla interruzione, delle attività ospedaliere e ambulatoriali ordinarie no-Covid. Al contrario, per risarcire i medici che durante il lockdown hanno visto ridursi la loro attività intramoenia, viene vergognosamente estesa anche a loro, per giunta maggiorata, l’indennità di esclusività.
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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO.
USB PI rappresenta nel comunicato, che di seguito pubblichiamo, la realtà che nell’ emergenza sanitaria sta vivendo l’Università di Pisa a conclusione di una fase (Fase III) che, in effetti, non è mai veramente decollata.
L’incremento esponenziale dei contagi da Covid-19 e i reparti ospedalieri ormai saturi ci stanno riportando rapidamente alla prima fase dell’emergenza sanitaria.
Purtroppo la realtà rappresentata da USB PI Università di Pisa è emblematica di tante altre università italiane, arroccate in un sistema che in questo momento di crisi sta rivelando tutte le sue contraddizioni.
Università di Pisa aperta, ma per chi?
Al di là della facciata di eccellenza anche in era Covid, come stanno andando davvero le cose nell’Università di Pisa? Sappiamo che, praticamente, la macchina non si è mai fermata, ma quali riscontri abbiamo dall’interno?
In generale i lavoratori lamentano mancanza di trasparenza, di controlli, comunicazione inadeguata e la pressoché totale discrezionalità concessa ai responsabili delle singole strutture nell’organizzazione del lavoro.
Ricordiamo come, alla fine del lockdown, nella frenesia di far ripartire attività e servizi a tutti i costi, si sia fatto appello alla volontarietà e alla disponibilità dei lavoratori, senza una pianificazione dei rientri che prevedesse turnazioni tali da garantire una rotazione del personale e un uso congruo degli spazi, conformemente alle disposizioni anti-contagio.
Ancora nell’attuale Fase 3 si riscontrano incongruenze, dato che, nonostante l’indicazione contenuta nell’ultimo DPCM di incrementare il lavoro a distanza, in diverse strutture non si attua nemmeno la soglia minima del 50% prevista per legge e, anzi, molti lavoratori operano in presenza a tempo pieno.
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CURIAMO LA SCUOLA
Lo sciopero del mondo della formazione, le manifestazioni congiunte di studenti e lavoratori in tutta Italia, l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica sul tema della riapertura delle scuole, la rottura dell’unanime retorica del “tutto andrà bene”, l’avere infranto un clima di passività sociale che durava da mesi, sono i risultati politici del lavoro di USB e di tutti i soggetti politici e sindacali che hanno messo in piedi questo coraggioso percorso.
Una parte del mondo della scuola ha finalmente scelto di prendere la parola, di dire che occorre uscire dalla gestione dell’emergenza e porre la questione degli interventi strutturali su edilizia e organici, sui modelli didattici, sul senso stesso del fare scuola, sulla prospettiva di costruzione di una società diversa.
È un lavoro che ci impegnerà per una lunga fase politica, da affrontare con umiltà e determinazione, forti di un rapporto con il mondo studentesco che anch’esso si organizza e si struttura in una prospettiva nazionale solida e nuova, e sostenuti da un rafforzamento organizzativo e di presenza nelle scuole che è passato dalla lotta degli Ata internalizzati, che oggi ci permette di parlare con credibilità al pezzo della categoria che più sta patendo l’aumento dei carichi di lavoro e di responsabilità in questa fase così difficile della vita delle istituzioni scolastiche.
Sappiamo bene che per svolgere un ruolo reale in questa vicenda la nostra crescita dovrà proseguire, ma il punto politico che abbiamo posto costringe tutti a misurarsi con una proposta che impedisce di ridurre e confinare la protesta e la voglia di partecipazione che oggi attraversa il mondo della scuola, a innocue autorappresentazioni e a passeggiate rituali del sabato pomeriggio.
Da lunedì si ricomincia, ponendo scuola per scuola il tema della sicurezza, del diritto allo studio, della necessaria crescita di consapevolezza di una funzione generale che chi insegna deve riconoscere, perché solo su questo piano è possibile coniugare difesa della condizione materiale e crescita culturale al Paese.
La scuola come strumento di emancipazione e di fuoriuscita dalla crisi di civiltà nella quale siamo immersi, questo l’obiettivo. Da perseguire dentro un progetto complessivo di trasformazione sociale che metta al centro il mondo del lavoro e offra strumenti ai settori sociali più deboli e sfruttati.
USB P.I. Scuola