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pubblicato il 14 Novembre, 2020

    RICHIESTA INTERVENTI OPERATIVI DI PREVENZIONE

Abbiamo scritto all’Amministrazione  in qualità di rappresentanti sindacali USB,  nonchè come RLS, perché in ateneo stanno succedendo a nostro avviso cose piuttosto gravi, data la situazione che stiamo vivendo.   Registriamo una scarsa chiarezza e omogeneità nelle modalità operative  messe in campo per contrastare il diffondersi del contagio tra il personale dell’ateneo.

Le misure richieste necessitano di un approccio sistemico ai temi della prevenzione e della sicurezza, l’unico in grado di contemperare, in questa difficile fase, tutela della salute e lavoro.

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Attuazione delle nuove misure di contenimento della pandemia. DPCM 3 novembre 2020

 

 

 

Al Direttore Generale
Dr. Giuseppe Colpani

e,p.c.
Al Prorettore alle Relazioni Sindacali
Prof. Nathan Levialdi Ghiron

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Il 19 ottobre 2020 è stato firmato il decreto del Ministro per la Funzione Pubblica in merito allo smart working nelle pubbliche amministrazioni. Il decreto ministeriale attua le norme del decreto Rilancio, alla luce dei  Dpcm del 13 e 18 ottobre. Occorre ricordare che il Decreto rilancio (con le modifiche apportate in sede di conversione in legge) era intervenuto per regolamentare il rientro in servizio mantenendo comunque una percentuale di personale in modalità agile.   Con il provvedimento emanato (che resta in vigore fino al 31 dicembre) si interviene nuovamente sulla materia, alla luce dei preoccupanti segnali di ripresa dei contagi.
In primo luogo si modifica il vincolo del 50% del personale impegnato nelle attività che possono essere svolte da remoto, fissando quella percentuale come soglia minima e puntando ad elevare il più possibile la stessa compatibilmente con le capacità organizzative delle Amministrazioni.
Con l’ultimo DPCM firmato il 3 novembre, su tutto il territorio nazionale è richiesto il massimo ricorso allo smart working da parte dei datori di lavoro pubblici e privati.

Alla luce degli ultimi provvedimenti governativi, si chiede a codesta Amministrazione in base a quale giustificazione ha inteso applicare in senso contrario le misure contenitive, dal momento che obbliga i responsabili di struttura dell’Amministrazione Generale ad incrementare le giornate lavorative in presenza fino a quattro giorni la settimana.    

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Covid-19, USB: non mancano solo posti letto e medici, la vera emergenza è l’assenza di infermieri e operatori sociosanitari. Serve una massiccia campagna di assunzioni.

 

Sulla nuova emergenza Covid-19, che nonostante fosse prevista da mesi ha trovato impreparate la stragrande maggioranza delle regioni, sentiamo dire ogni giorno che nelle grandi città il tracciamento del contagio è saltato, che mancano ovunque i posti letto di terapia intensiva e i medici anestesisti necessari per il loro incremento.

Stranamente, non sentiamo mai parlare della carenza di infermieri perché, se per 100 posti di terapia intensiva occorrono 92 anestesisti, di infermieri per operare in sicurezza ne occorrono ben 350.

Così si rincorrono le segnalazioni di protocolli aziendali pensati e strutturati in maniera tale da cercare di non compromettere le già esangui dotazioni organiche, protocolli che però non prevedono per gli infermieri e gli operatori sociosanitari piani di sorveglianza epidemiologica periodica, ma che prescrivono i tamponi diagnostici solo in presenza di sintomi. Conseguenza diretta di questa situazione è la ripresa vertiginosa del contagio e degli infortuni tra i lavoratori, attestata e certificata dall’Inail.

Assistiamo di nuovo alla riduzione, se non alla interruzione, delle attività ospedaliere e ambulatoriali ordinarie no-Covid. Al contrario, per risarcire i medici che durante il lockdown hanno visto ridursi la loro attività intramoenia, viene vergognosamente estesa anche a loro, per giunta maggiorata, l’indennità di esclusività.

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pubblicato il 24 Ottobre, 2020

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO.

USB PI rappresenta nel comunicato, che di seguito pubblichiamo,  la realtà che nell’ emergenza sanitaria  sta vivendo l’Università di Pisa a conclusione di una fase (Fase III) che, in effetti, non è mai veramente decollata.
L’incremento esponenziale dei contagi da Covid-19 e i reparti ospedalieri ormai saturi ci stanno riportando rapidamente alla prima fase dell’emergenza sanitaria.  

Purtroppo la realtà rappresentata da USB PI Università di Pisa è emblematica di tante altre università italiane, arroccate in un sistema che in questo momento di crisi  sta rivelando tutte le sue contraddizioni.

Università di Pisa aperta, ma per chi?

 

Al di là della facciata di eccellenza anche in era Covid, come stanno andando davvero le cose nell’Università di Pisa? Sappiamo che, praticamente, la macchina non si è mai fermata, ma quali riscontri abbiamo dall’interno?

In generale i lavoratori lamentano mancanza di trasparenza, di controlli, comunicazione inadeguata e la pressoché totale discrezionalità concessa ai responsabili delle singole strutture nell’organizzazione del lavoro.

Ricordiamo come, alla fine del lockdown, nella frenesia di far ripartire attività e servizi a tutti i costi, si sia fatto appello alla volontarietà e alla disponibilità dei lavoratori, senza una pianificazione dei rientri che prevedesse turnazioni tali da garantire una rotazione del personale e un uso congruo degli spazi, conformemente alle disposizioni anti-contagio.

Ancora nell’attuale Fase 3 si riscontrano incongruenze, dato che, nonostante l’indicazione contenuta nell’ultimo DPCM di incrementare il lavoro a distanza, in diverse strutture non si attua nemmeno la soglia minima del 50% prevista per legge e, anzi, molti lavoratori operano in presenza a tempo pieno.

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